La scuola tecnologica sarà anche più disuguale?

 

Delrapporto tra nuove tecnologie e scuolasi è parlato tanto soprattutto durante la pandemia e la famigerata dad (didattica a distanza). Si tratta di un tema molto dibattuto, che oscilla tra itimori che la digitalizzazione aumenti le disuguaglianze e le speranze cheinvece, se usata adeguatamente,possa ridurlee migliorare l’apprendimento degli studenti. Raramente però se ne parla in presenza di dati, anche perché questi «sono nelle mani delle aziende che gestiscono queste piattaforme e che si guardano bene dal condividerli», come ricordato da Marco De Rossi, amministratore delegato diWeSchool, una delle principali piattaforme di educazione tecnologica in Italia. Un’eccezione a questa regola l’ha fatta proprioWeSchoolcheha messo i propri dati a disposizionedel Politecnico di Milano e della Fondazione Cariploper cercare di dare alle istituzioni e al pubblico maggiori informazioni, nel tentativo di capire come migliorare l’utilizzo di questi strumenti. I risultati del lavoro svolto sono stati spiegati durante l’evento del 25 gennaioDati alla mano: scuola, disuguaglianze e tecnologia, organizzato al MEET – Digital Culture Center di Milano. A presentare la ricerca sul palco c’eranoTommaso Agasisti, professore del Politecnico di Milano, ePaolo Caninodell’Evaluation Lab Fondazione Social Venture Giordano dell’Amore. Per il periodo compreso tra settembre 2019 e giugno 2021WeSchoolha messo a disposizionedati relativi a 1 milione e 729.000 utenti tra studenti e insegnanti, coinvolgendooltre 15.000 istitutinazionali trascuoleprimarie e secondarie. I ricercatori del Politecnico hanno notato comele performance individuali degli studenti, soprattutto delle scuole secondarie di II grado, sianospesso influenzate anche dal comportamento dei loro compagni. Anche iltipo di contenuti multimediali messi a disposizionedal docente è un fattore importante. Un dato che, secondo Agasisti, «ci spiega ancora una volta quanto sia sbagliato pensare che la digitalizzazione corrisponda a una diminuzione dell’importanza del ruolo del docente. È esattamente l’opposto: l’apporto dell’insegnante è fondamentale per creare dei contenuti interessanti per gli studenti e che vadano oltre una didattica spersonalizzata». Sull’uso delle piattaforme da parte dei docenti ci sono comunque dei segnali di miglioramento: uno studio condotto sugli insegnanti ha rivelato come ben il 44% di loro non si sentisse preparato ad affrontare la dad, ma anche che, dopo la pandemia, solo poco più del 5% ha lo stessa impressione. Resta comunque il tema delle disuguaglianze. Su questo aspetto si è concentrato Canino, che ha mostrato come per l’anno scolastico 2019-2020 «aun aumento delledisuguaglianzepresenti sul territorio corrisponde un aumento delle disuguaglianze nell’accesso alle attività». Così come a un’alta quota di contribuenti a basso reddito su un territorio corrisponde «una bassa partecipazione alle attività didattiche». Canino ha spiegato di aver anche provato a capire se gli interventi di istituzioni pubbliche e private attuati nell’anno scolastico 2020-2021 per diminuire le disuguaglianze siano serviti, ma di non averlo potuto fare per via della carenza di dati dovuta anche alla decisione delle altre piattaforme di non condividere le proprie informazioni: le scuole potrebbero infatti aver abbandonatoWeSchoolper altri competitor, ma non essendo in possesso dei loro dati è impossibile sapere in che misura questo stia successo. Lacondivisioneresta quindifondamentaleper capire di più su questi temi. Così come il poter conoscere meglio lasituazione degli studentiper poterli aiutare fin dall’inizio. «Al Politecnico analizziamo da tempo i dati sui nostri studenti per diminuire il loro abbandono», ha spiegato Donatella Sciuto, rettrice del PoliMi, mentre Giovanni Azzone, presidente della Fondazione Cariplo, ha ribadito la necessità di «non replicare vecchi modelli su nuove tecnologie». Guardare avanti quindi percambiare un approccio che non vada a enfatizzare le disuguaglianze, ma le contrasti. Anche perché, come ha ricordato, Agasisti, «il nostro obiettivo non deve essere spiegare le disuguaglianze, ma prevenirle». E l’aumento di dati sul rapporto tra nuove tecnologie e scuole può essere un ottimo punto di partenza.

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