Gli agricoltori odiano il capitalismo (ma alcuni non lo sanno)

Hai presente lo sconforto che ti prende quando realizzi di non poterti permettere economicamente diacquistare frutta e verdura locali e stagionali,provenienti da chi coltiva responsabilmente? Dai veri custodi della fertilità del suolo, dell’agrobiodiversità, dei territori… perché? Perchécosta troppo. Perché ti puoi permettere solo di andare alsupermercato(o peggio, al discount) dove la frutta e verdura sono tutte uguali, sembrano finte, vengono da ogni angolo di mondo, spesso non sanno di niente,non c’è stagionalità, diversità ma filiere troppo lunghe e un’agricoltura distruttiva. Perché questo accade? Perché fare agricoltura bene, è difficile. Per decenni, laPac(Politica Agricola Comune) hadistribuitoiniquamenterisorse, privilegiando legrandi imprese agricole, con un modello produttivo sempre più dipendente da pacchetti tecnologici elaborati dai giganti dell’agrobusiness. Più sei grande e più sarai aiutato a diventare grande. Perché ti serviranno (e quindi sarai dipendente) dall’acquisto di suoli, strutture, sementi, agrofarmaci, grandi macchinari agricoli, gasolio agricolo,che ti serviranno a produrre tanto, sempre di più, sempre più velocemente, a vendere ovunque, a prezzi concorrenziali, sovrapproducendo e sovrasprecando tantissimo in filiere sempre più lunghe ed elaborate. Ilmondo dei contadini(non di chi è diventato imprenditore di aziende agricole), delle piccole realtà e dei metodi agro-ecologici si sono visti esclusi, marginalizzati e indebitati. Più lavori nei limiti, con responsabilità, tramandandoti conoscenze, e come tanti altri ti puoi occupare di sfamare le comunità di prossimità e riferimento, più sei inutile alla grande macchina economica che ha bisogno di più, di più e ancora, di più per crescere.Più lavori con rispetto e meno sei sostenutoe sussidiato dall’Unione europea. Ti devi arrangiare, e rientrare da solo dei costi e degli imprevisti, con le tue sole forze. Più la filiera è lunga, e meno, chi fa il lavoro più essenziale del mondo, guadagnerà da quello che ha coltivato, creato in primis.La gran parte dei guadagni andrà agli intermediari,alla grande distribuzione e a coprire i costi dello spreco, già contati nei business model. Chi lavora con volumi più piccoli,vive nell’ombra dei grandi,non ha prezzi competitivi, è meno comodo e accessibile, e senza una rete di supporto intorno è destinato a chiudere e con luisi perde la conoscenza che si tramanda(se parliamo di generazioni di contadini). In questo sistema economico, la maggior parte di noi è costretta acomprare il sottocostoe a subire il sottocosto. Leproteste degli agricoltorioggi hanno anime diverse, ma accumunate dalla stessa rabbia.Rabbiache sa che la distruzione delle reti della vita e delle condizioni di vita di chi lavora la terra, sono da imputare al potere e ai ricatti delle multinazionali dell’agribusiness. Anni di libero scambio con un modello industrialista e tecnocratico di agricoltura hanno portato a difficoltà economiche, costi crescenti, concorrenza eccessiva da altri Paesi più sfruttati, burocrazia asfissiante e infine… le norme dell’Ue per ilGreen New Deal. Per anni il lavoro di lobbying (quindi influenza) delle grandi industrie agricole è riuscito a rendere l’agricoltura e l’allevamento quel che sono: settori che sono diventati laseconda causa dell’emissione di gas climalterantiche stanno scaldando questo Pianeta e, allo stesso tempo, settori profondamente influenzati dai cambiamenti climatici. Stagioni sfasate, siccità, inondazioni, parassiti, rincari.Chi lavora con la terra questo lo sa perché lo vede, lo tocca,non può essere un negazionista climatico.Anzi, gli agricoltori dovrebbero essere i primi ambientalisti ed ecologisti. Eppureuna parte di loro non si è mai ribellataa questa industria, alle logiche in cui questo sistema produttivo li ha costretti. Lo hanno abbracciato con la convinzione che li avrebbeportati fuori dalla fame e dalla miseria, lo hanno cavalcato per un po’ e ora sono punto e a capo, non ci campano più. I problemi sono troppi:il suolo è sempre meno fertile(oltre il 60% dei terreni europei è degradato), gli eventi climatici imprevedibili, laconcorrenzatanta, i rincari inaffrontabili, i guadagni troppo pochi. Lo sanno che sarebbe necessaria una trasformazione del sistema agroalimentare perché ridurre le produzioni, le filiere, regolare i mercati, gestire lo spreco, gli impatti, le emissioni di gas serra, dev’essere parte integrante della soluzione alla crisi climatica. Eppure non si ribellano contro chi li ha messi nella posizione di non riuscire più a ripensare a un modo di lavorare o stare al mondo, o forse sono solo troppo stanchi per farlo, non ci credono più,vogliono solo sopravvivere nel tempo che gli rimane. Diversi di loro reclamano il diritto a continuare a lavorare con la dipendenza da chi vende loro tutto e li assoggetta a leggi e logiche assurde che non li ripagano mai abbastanza e hanno esternalità negative ambientali e sociali incalcolabili che ricadranno ora e sulle generazioni a venire. Destre e associazioni di categoria che difendono gli interessi delle aziende più problematiche, rivendicano una sorta di vittoria nel non portare avanti la transizione ecologica e si fanno paladine (che non sono mai state) di questa gente sull’orlo del baratro. Gliagricoltori, stremati,li ascoltano e trovano nel New Green Deal il nuovo nemico, dimostrandoci che ilnegazionismo climatico, come ilgreenwashing, si evolve e ha tante sfaccettature. Si tratta dell’ennesima strumentalizzazione politica in vista delle prossime elezioni Europee. Così facendo non si aiutano gli agricoltori, né l’ambiente e la salute dei cittadini. Stiamo guardando tutti nella stessa direzione:questo sistema economico non funziona,perché gli stiamo chiedendo di salvarci? Abbiamo bisogno di transitare a modelli produttivi rigenerativi, che creino valore diversamente e distribuiscano nuovamente abbondanza che nutre le reti della vita e del Pianeta.