Italia: nelle università crescono le neo-iscritte

 

Ilgender pay gapè un problema particolarmente rilevante in Italia e sembrerebbe che il nostro Paese faccia molta fatica a provare a uscirne. Non a caso, dalGlobal Gender Gap Reportdel 2023, pubblicato dalWorld Economic Forum, risulta chel’Italia occupa il settantanovesimo postosu un elenco di 146 Paesi. Si tratta di unaperdita di 16 posizioni rispetto all’anno scorso, scendendo soprattutto nei livelli di istruzione e in potere politico. Eppure, in un simile contesto didisuguaglianza di genere,i recenti dati delMinistero dell’Università e della Ricercarappresentano una piccola e importantissima speranza, dato che l’incremento di giovani che scelgono di continuare gli studi iscrivendosi all’università è trainato principalmente da donne. Stando alle ultime immatricolazioni presso i vari atenei italiani,a gennaio le matricole sono cresciute del 2,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno accademico 2022/2023, così comedel 2% rispetto al periodo immediatamente successivo alla pandemia. Un aumento dellacapacità attrattiva delle universitàche si traduce inoltre 315.000 immatricolazioni(circa 14.000 in più rispetto al periodo 2022/2023) dove propriole donne rappresentano il 56,4% delle nuove iscrizioni, pari apiù di 177.000 immatricolatecontro i 173.000 colleghi uomini. Sono numeri che riempiono di nuova linfa il sistema accademico italiano, un fondamentale contributo per cercare diridurre ilprofondo divario istruttivoche divide il nostro Paese dal resto dell’Unione europea, dato che rispetto agli altri Stati membri dell’Unione europea ci poniamo alpenultimo postoper quota di persone tra i 25 e i 34 anni in possesso di un titolo di studio terziario(diploma di tecnico superiore, diploma accademico, laurea o dottorato di ricerca). Ma questi dati rappresentano anche una notevolerisorsa per l’intero sistema economico italiano, in quanto una volta finiti gli studi i titoli che studenti e studentesse di oggi avranno ottenuto rappresenteranno la chiave per apriremolte più porte all’interno delmercato del lavoro di domani, sempre più“liquido” ma comunque ricco di occasioni. A destare maggiore attenzione sono le facoltà diMedicina, Odontoiatria e Veterinaria, che grazie all’aumento progressivo di posti disponibilinei prossimi sette anni, hanno visto crescere le proprie iscrizioni da 33.882 aquasi 40.000, di cui oltre la metà composta da studentesse italiane. Al contrario,si mantiene costante il loro disinteresse verso lediscipline Stem, espressione coniata nel 2001 dalla macrobiologaRita Colwellche raggruppa insieme Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica. Un’area del sapere a cui le studentesse italiane si affacciano con sempre maggiore timidezza, visto ilcalo da 37.456 a 36.816 donne, che si riverbera nelle oltremille immatricolazioni in meno rispetto al 2022/2023. La tendenza verso il basso delle iscrizioni femminili in questi corsi trova fra le sue molteplici origini anche unamotivazione culturale, dato che spesso le ragazze faticano ad approcciarsi a queste materie proprio perché disincentivate da unretaggio maschilistache fa parte del loro background sociale e familiare secondo cui i maschi sarebbero più portati per le scienze. Un pregiudizio completamenteprivo di fondamentoche tuttavia continua a influenzare le scelte accademiche di migliaia di ragazze, allontanandole da un percorso di studi ricco di prospettive future e da unmercato del lavoro sempre più alla ricerca di figure professionali Stem. Complessivamente, l’incremento di donne nelle aule universitarie è unaprospettiva che dona fiducia anche nella lotta alle disuguaglianze di genere,che tuttavia appare ancora ben radicata. Il vero paradosso infatti è che nonostante l’aumento di immatricolazioni delle donne,il loro percorso comincia a subire freni e ostacoli proprio una volta conclusa l’università o appena dopo aver concluso il dottorato di ricerca. Stando a quanto emerge dalrapportoAnalisi di generecurato dall’Agenzia Anvur(Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca)lacarriera lavorativa nel mondo accademicocontinua a essere una prerogativa maschile. Nonostante gli incrementi sostanziosi di presenze femminili dietro le cattedre neldecennio 2012-2022, con il passaggiodal 34,9% al 42,3% per le professoresse associate e dal 20,9% al 27% per le ordinarie, oltre a unaumento del 4,6% di rettrici, il primato maschile fra i lavoratori delle università rimane ben saldo. Si tratta di una differenza molto netta rispetto alla quota di docenti universitarie osservata nel resto d’Europa, dove (Lettonia esclusa) dal 2013 al 2021 gli atenei nazionali hanno visto crescere di molto la percentuale di insegnanti donne, fino a un+6% registrato in Slovenia.