Carbon offsets: molti progetti sovrastimano la riduzione delle emissioni

Negli ultimi anni è esploso il mercato deicrediti di carbonio. Chiamati anchecarbon offsetsvengono ceduti alle aziende che cercano di compensare le proprie emissioni affinché possano affermare di aver raggiunto gli obiettivi climatici. Consultando i bilanci di sostenibilità di diverse multinazionali, la strategia dellacompensazione del carbonioappare l’opzione preferita: permetterebbe infatti di raggiugere laneutralità climaticasenza porre significative modifiche al proprio modello di business, semplicemente compensando le proprie emissioni lontano dai centri amministrativi e produttivi. La compensazione avviene tramite il finanziamento diprogetti diriforestazionee tutela delleforeste, queste ultime capaci di assorbire CO2 dall’atmosfera grazie al naturale processo chimico della fotosintesi. Si tratterebbe quindi di una soluzione ottimale, in grado di offrire alle aziende uno strumento efficace per abbattere l’impatto climalterante e migliorare la propria reputazione. Tuttavia, la mappa interattiva realizzata daCarbon Brief,Mapped: The impacts of carbon-offset projects around the world,presenta uno scenario decisamente meno ottimistico. Da una partela sovrastima delle compensazioni, dall’altrai danni subiti dalle popolazioni localifanno emergere il lato più controverso di questi progetti. Ben “26 dei 61 rapporti esaminati hanno trovato prove di progetti di carbon-offset che sovrastimano la loro capacità di ridurre le emissioni”. Fra i casi mappati spicca la vicenda del progettoGreen Diamond, nell’Oregon meridionale, che ha visto perdere 3,3 milioni di tonnellate di CO2 immagazzinate a causa di un incendio: “l’equivalente dei gas serra prodotti in un anno da più di 700.000 automobili percorrenti 11.500 miglia”. Dopo l’accaduto la società responsabile del progetto avrebbe continuato a vendere crediti di carbonio nonostantegli alberi non fossero più in grado di svolgere il proprio servizio ecosistemico. A questa vicenda si sommano innumerevoli altri casi in cui aziende, anche molto conosciute, avrebbero messo in atto una serie di “trucchi contabili” al fine di sovrastimare l’impatto virtuoso di questi progetti. Un’altra criticità riguarda invece la sostenibilità in chiave sociale.“Oltre il 70% dei rapporti esaminati ha trovato prove di progetti che causano danni alle popolazioni indigene e alle comunità locali”. Queste “rappresentano il 6% della popolazione mondiale, ma sonocustodi di oltre il 40% degli ecosistemi ancora intatti della Terra”. Nonostante il ruolo che svolgono nella protezione delcapitale naturale, spesso non vengono coinvolte nel processo decisionale per lo sviluppo di questi progetti e nei casi peggiori subiscono danni e violazioni dei diritti alla terra. Secondo numerosi rapporti dell’Associated Pressla gestione delParco Nazionale Cordillera Azul, area dell’amazzonia peruviana affidata all’organizzazione no-profitCima, avrebbe arrecato “conseguenze devastanti” alla tribù indigena Kichwa. I dati satellitari hanno mostrato che “la perdita di alberi dalla foresta è più che raddoppiata dall’istituzione del parco” con il risultato di privare le popolazioni locali delle risorse necessarie alla propria sussistenza. Anche in questa circostanza, la società responsabile del progetto avrebbe continuato a vendere crediti di carbonio nonostante gli insuccessi del progetto. Le vicende dell’incendio in Oregon e quella degli Kichwa sono solo alcune fra gli esempi negativi mappati daCarbon Brief. Storie di “sgomberi forzati”, “minacce con armi da fuoco” ecompensazioni da foreste andate in fumodescrivono uno scenario agli antipodi rispetto quello che dovrebbe rappresentare una strategia per lo sviluppo sostenibile.