Le prime settimane dell’anno sono sempre di bilancio dell’anno passato, ma anche diprevisioniper il nuovo. Possiamo dire, senza paura di esagerare, cheil 2023 non è stato un anno facile, né per ilPianetané per chi lo abita, e pare che anche il 2024 non prometta cambiamenti positivi, a meno che non si agisca rapidamente sul piano politico e sociale. The New Humanitarian, in un recentearticolo, ha messo in luce7 sfide umanitarieche ci aspettano nel nuovo anno e che, se non correttamente gestite, potranno lasciare milioni di personesenza cibo, riparo, cure mediche o aiuti umanitari. 1. Politiche di deterrenza e migrazioni IlMediterraneoe la zona diconfine tra gli Stati Uniti e Messicosi sono riconfermate, nell’ultimo periodo, teatro di un altissimo numero didecessitra le persone che lasciano i loro Paesi per cercare una vita migliore. Questo numero sarà destinato ad aumentare nel 2024 se i Paesi riceventi non avranno il coraggio diabbandonare le misure di contenimentodelle migrazioni che, è ormai evidente, non funzionano e anzi, spingono sempre più persone ad affidare la propria vita alle mani di gruppi ditrafficantisenza scrupoli, subendo abusi e violenze di ogni tipo. Rendere illegali i flussi migratorisignifica anche, per i Paesi riceventi (e in particolare per gli Usa e l’Ue) rendersi più vulnerabili alle pressioni degli Stati di origine o di transito che tentano talvolta di raggiungere accordi politici vantaggiosi sulla pelle dei migranti. SecondoThe New Humanitarianè necessario incambio di rottaradicale riconoscendo che“le migrazioni sono inevitabili,e spesso portano anche benefici, se vengono gestite correttamente”. E umanamente. 2. AI e guerra Con il conflitto inUcraina, e adesso con quello inMedioriente, è emersa con forza l’evidenza di quanto lenotizie, o la loro assenza, abbiano un ruolo sullo svolgimento della guerra. L’informazione, e ancora di più ladisinformazione, possono facilmente trasformarsi inarmiletali tanto quanto i missili, specialmente quando passano attraverso canali di massa quali sono i social network. Lo scorso anno un report dellaBbcaveva mostrato come glialgoritmidi alcune piattaforme, come Meta e Youtube, rimuovessero sistematicamente le evidenze dei crimini di guerra perché i contenuti non rispettavano gli standard delle community, contribuendo a creare unanarrazione distorta dei conflitti. Tuttavia l’eliminazione o l’oscuramento di alcune notizie è solo una delle 2 facce della medaglia. L’altra, altrettanto inquietante e pericolosa, è quella della creazione massiva difake newsgrazie a intelligenze artificiali generative come ChatGpt. Un esempio di come questo fenomeno possa essere letale per la popolazione, secondoThe New Humanitarian, viene dalSudan, dove l’esercito regolare e le forze paramilitari hanno ingaggiato unalotta di disinformazione sui social network diffondendo notizie false e contrastantisulle aree sicuremettendo a repentaglio la vita di moltissimi civili. La circolazione di notizie tendenziose o costruite ad hoc poi, può contribuire a fomentare idiscorsi d’odio e la violenzacontro gruppi marginalizzati, come è successo in Indonesia, dove un gruppo di profughi rohingail 27 dicembrescorso è stato espulso, dopo essere stato attaccato, da un rifugio per mano di un gruppo di centinaia di studenti indonesiani. 3. Scarsità idrica Icambiamenti climaticistanno facendo aumentare sempre di più le aree del mondo colpite dallasiccitàche ora non riguarda più solo le zone secche come il Sahel, l’Africa settentrionale e il Medioriente, ma anche Paesi insospettabili comePeru, Kenya e Honduras. Lamancanza di acquaspinge grosse fette della trazione rurale versoaree urbane sempre più sature,e senza possibilità di lavoro né di prospettive, e i suoi effetti si ripercuotono in particolar modo sui più piccoli (secondo l’Unicefsarebbero circa 740 milioni i bambini che vivono in zone senza un’adeguata disponibilità di acqua). La mancanza o l’insufficienza di risorse idriche rappresentano un’aggravante inzone di guerra aumentando la letalità del conflitto(non dimentichiamo che l’acqua non è solo necessaria per idratarsi ma anche per garantire condizioni di igiene accettabili, per curare feriti e limitare il diffondersi di malattie infettive), e possono a loro volta esacerbare o addirittura essere fonte di conflitto all’interno di una stessa comunità o tra Stati confinanti. 4. Città assediate: il prezzo delle vite civili La parolaassediospesso richiama alla nostra mente immagini di castelli medievali circondati dalle armate nemiche, ma questa tecnica è una costante nella storia bellica e anche i conflitti a cui abbiamo assistito in anni recenti non hanno fatto eccezioni (come non ricordare Mariupol e Gaza). Durante un assediola zona colpita viene completamente isolatae tagliata fuori dalle reti di rifornimento, e le necessità di base comecibo, acqua, medicinali, elettricità diventano armida utilizzare nel braccio di ferro del conflitto. Secondo quanto riportato daThe New Humanitariangli assedi, soprattutto se accompagnati da bombardamenti, sono la causa di necessità umanitarie che possono avere strascichi di lungo periodo. Inoltre causando carestie, morti per malattie altrimenti curabili e mancanza di standard minimi di igiene fanno aumentare in modo esorbitante il numero divittime civili. 5. El Niño Secondo le analisi delClimate prediction Center,il fenomeno climatico conosciuto comeEl Niñocontinuerà a faraumentare la temperatura dell’Oceano Pacifico,causandosiccità, incendi, ondate di calore e alluvionisempre più gravi che, a loro volta, saranno la causa dicarestie, migrazioni e crisi sanitarie. Sarà dunque necessario prepararsi a fare fronte a questi eventi e proteggere le popolazioni delle zone più colpite. Per poterlo fare, secondoThe New Humanitarian,è necessario che vengano messe in attopolitiche preventiveche contribuiscano non solo a salvare molte vite, ma anche a razionalizzare l’utilizzo delle risorse finanziarie allocate alle crisi, evitando inutili sprechi. 6. Nessun interlocutore di serie A e serie B Per molto tempo, nell’ambito degliaiuti umanitari,si è discusso sull’opportunità di fornire aiuti a Paesi guidati da Governi o gruppi controversi, come nel caso di Stati dittatoriali o, per parlare di situazioni odierne, l’Afghanistan dei Talebani. Inviare fondi di aiuti umanitari, infatti, veniva considerato un atto di legittimazione di questi Governi. Nel 2024 è possibile che assisteremo a un cambio di mentalità. Ilcapo della missione Onu in Afghanistanha spiegato che«Il dialogo non legittima»e le passate esperienze dipeacebuilding, specialmente in America Latina, hanno insegnato che per poter aiutare e sostenere le popolazioni in difficoltà, è necessaria qualche forma dicompromesso con i gruppi dominanti,per quanto discutibili siano le loro politiche. 7. Il Sahel Nell’ ultimo periodo la regione delSahelè stata teatro di diversicolpi di statoe ha visto aumentare il livello diviolenzatra diverse fazioni opposte. Secondo le stime diThe New Humanitarian, nel 2024 la situazione potrebbe ulteriormente deteriorarsi e sarà necessarioripensare le strategie di azione. Gli interventi più “classici”, come a esempio le sanzioni, non solo si sono rivelate inconcludenti ma addirittura dannose sia per la popolazione che per i programmi di aiuti. È giunto dunque il momento di considerare anche iGoverni militari provvisori come soggetti politici con cui intraprendere un dialogo, sia per risolvere le situazioni che hanno portato alla loro instaurazione, che per consentire il ritorno rapido a regimi civili.
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