Come lo smart working genera disuguaglianze

Come lo smart working genera disuguaglianze

 

Dall’inizio della pandemia è aumentato il numero dilavoratori da remoto(glismart workers). Attorno al tema sono nati animati dibattiti riguardo le conseguenze economiche, culturali, lavorative, sociali e climatiche associate allosmart working. Lo studio pubblicato sull’Harvard Business Reviewevidenzia come questa forma di lavoro crei fortidisuguaglianze. Analizzando il mercato americano nel 2023, l’analisi sottolinea come leopportunità lavorative a distanza siano rareper le professioni conretribuzione annua sui 30.000 dollari circa(tra il 2% e il 3%); la quota sale al 10% se consideriamo i lavori con compensi sui 60.000 dollari l’anno e si attesa al30% per gli impieghi retribuiti oltre i 140.000 dollari annui. L’istruzione è un fattore fortemente discriminante:lo smart working è più frequente tra gliannunci che richiedono dottorati(29%), master (27,1%) o lauree triennali (14,9%). Il tasso siabbassa laddove è richiesto un diplomaassociato (6,2%) o diploma di scuola superiore (1,9%). Inoltre, illavoro agile è offerto soprattutto in posizioni che richiedono maggiore esperienza. Per impieghi che richiedono almeno 7 anni di background lavorativo, più di un quarto degli annunci (22,9%) consente il lavoro a distanza; tra gli annunci che richiedono tra i 7 e i 9 anni di esperienza, il tasso supera il 30% (34,2%, con un aumento del 29,1% dal periodo pre-pandemico). Per le posizioni aperte per chi hameno di 1 anno di esperienza, solo il 4,2% degli annunci offre lavoro da casa.Infine, circa il 3% degli annunci di lavoro part-time presenta opportunità di smart working, rispetto a oltre il 10% per i lavori a tempo pieno. L’occupazione da remoto, sin dall’inizio, ha creato fortidisuguaglianze all’interno del mercato del lavoro. Ad aprile2020,l’Office for National Statisticsbritannicostimava che solo il46% degli inglesi fosse stato in grado di lavorare da casa; il dato raggiungeva il 57% a Londra, mentre nelle West Midlands si registravano i numeri più bassi (35%). Nel periodo pre-pandemico, illavoro agile era una modalità di lavoro prettamente maschile.Come mostra lostudio spagnolo delServicio de Estudios Ugt,dal 2006 al 2020 si è passati da una maggioranza maschile sia numerica (250.000 uomini in più delle donne, +1,3%) che territoriale (nel 2019 tutte le Comunità Autonome avevano più lavoratori in smart working che lavoratrici), a un incremento del numero di donne occupate da remoto. Tra il 2019 e il 2020, il numero di uomini che sono passati al telelavoro è aumentato dell’86%, contro un incremento femminile del 160%. In altre parole: lapandemia ha fatto raddoppiare il numero delle lavoratrici da remoto rispetto agli uomini. Già durante il Covid si guardava ai possibili impatti sulgender pay gap.Secondo lo studio dellaCommissione Lavoro della Camera da Variazioni(società di consulenza specializzata in innovazione organizzativa e smart working) che tiene conto dei dati raccolti su 50.000 interviste a lavoratori e manager di aziende pubbliche e private,“1 lavoratore agile su 2 è donnaed esiste una forte correlazione tra adozione del lavoro agile, employability femminile, trasparenza ed equità retributiva”. Tuttavia, i tradizionaliruoli di genere hanno influenzato anche lo smart working durante il Covid:secondo la ricerca americana condotta daMcKinsey, il79% degli uomini ha affermato di aver sperimentato “un’efficacia lavorativa positiva” a casa,rispetto solo al37% delle donne.Tra le cause, la difficoltà diconciliazione tra vita privata e lavorativa, che secondo lo studio è stata la massima priorità per le donne durante il periodo pandemico (tra gli uomini, non rientrava neppure tra le prime 10 priorità). Come intervenire sulle disuguaglianze? SecondoHarvard Business Review,i manager e i dirigenti aziendali dovrebberoriconoscere il divario tra lavoro da casa e lavoro in ufficio,con la possibilità di rendere maggiormenteflessibile l’orario di lavoro per i dipendenti in sedeper ridurre il tempo di spostamento. Inoltre, l’aumento dei salari per i dipendenti in sede viene considerato come un potenziale fattore di compensazionedi fortidisomogeneitàtra i lavoratori, in termini di spostamento e di comodità lavorativa. Numerosi studi lo confermano: l’impiego da remoto crea ulteriori disuguaglianze economiche e sociali, sebbene possa potenzialmente dare effetti positivi sulla parità di retribuzione tra i generi. Come e se questa modalità di lavoro sarà accessibile equamente a prescindere da istruzione, estrazione sociale, reddito e genere, si scoprirà solo nei prossimi anni.