Il limite delle politiche di sviluppo: tra crescita e neocolonialismo. Il caso Honduras

Il limite delle politiche di sviluppo: tra crescita e neocolonialismo. Il caso Honduras

 

Come già accaduto con Jules Verne, scopriamo che le narrazioni di racconti e film spesso non sono fantasiose, ma solo la previsione di quel che da qui a poco può effettivamente avvenire. E così, come nei film degli anni ‘90 e dei primi anni 2000 capitava spesso che la storia fosse ambientata in scenari di un prossimo futuro dove società private gestivano poteri propri degli stati sovrani, ahinoi scopriamo ai nostri giorni chequella che consideravamo solo frutto di fantasia era invece preveggenza. Non parlo di quanto sta avvenendo con i miliardari americani delle big tech in grado di influenzare elezioni attraverso le proprie piattaforme o dare supporto a stati in guerra con reti satellitari, ma diquello che sta succedendo in Honduras, stato dell’America centrale con una popolazione di circa 10 milioni di abitanti e un prodotto interno lordo atteso per il 2023 di circa 33 miliardi di dollari americani. L’opinione nazionale e quella internazionale è focalizzata sullacausa miliardaria chePrόspera Inc.,una società basata in Delaware, considerato da molti come il paradiso fiscale degli Stati Uniti, attraverso sue partecipateha intentato nei confronti dell’Hondurascon una richiesta di circa11miliardi di euro di risarcimento, ovvero oltre un terzo del prodotto interno honduregno,per mancato rispetto di un accordo volto a consentire la costruzione di una città, quasi una città stato, sul modello di Singapore e Hong Kong. Oggetto del contendere è la revoca da parte del governo appena insediato di un accordo mediante il qualela società ha ottenuto in passato una parte di territorio per la creazione di insediamentiche prevedono limitazioni ai poteri sovrani dello Stato. Una storia travagliata da quel che si può apprendere dalle varie fonti giornalistiche, visto cheil progetto fu autorizzato con una legge statale nel 2012, legge poi dichiarata incostituzionale dalla Corte suprema dell’Honduras e in seguito reiteratadopo che la costituzione e i giudici della Corte suprema cambiarono. La questione è all’esame dell’International Centre for Settlement of Investment Disputes, un procedimento di carattere mediatorio gestito dallaWorld Banke volto alla tutela degli investimenti stranieri. La società statunitense invoca infatti le protezioni accordate agli investimenti americani dal Dominican Republic – Central America – United States Free Trade Agreement e il rispetto degli accordi a suo tempo presi. Senza entrare nel merito della questione,il tema è utile per esprimere considerazioni di carattere più generale sui modelli di sviluppo applicati ai Paesi meno sviluppati.Al riguardo, se siamo abituati a vedere in vari Stati forme di esenzione fiscale che dovrebbero agevolare gli investimenti e se è vero che per incentivare lo sviluppo uno dei punti essenziali è il mantenimento degli accordi e la certezza delle leggi, la domanda che si poneè fino a che punto, in nome dello sviluppo, si possa chiedere a uno Stato di abdicare- anche parzialmente -alla propria sovranità, senza ricadere nel colonialismovero e proprio. E infatti in molti, anche commentatori dall’Africa, riportano la notizia quale un esempio di neocolonialismo. Altro aspetto è quello relativo al ruolo svolto dallaWorld Bankin queste politiche di sviluppo. Tornando infatti alla vicenda honduregna quel che inducetimorein alcuni osservatoriè che laWorld Bank, nell’ambito della quale il procedimento di arbitrato si svolgerà,in qualche modo possa rappresentare la logica occidentale. Da un lato, infatti, il modello delle zone economiche speciali sembrerebbe essere un progetto ideato da Paul Romer, Chief Economist dellaWorld Bank, come strumento di crescita delle economie dei Paesi in via di sviluppo, Dall’altro è opportuno considerare che l’attuale presidente della World Bank Ajaj Banga, nominato a giugno 2023, è stato co-presidente dellaPartnership for Central America, una coalizione di organizzazioni private volte a sostenere – con iniziative pubblico private – le popolazioni bisognose di aiuto di El Salvador, Guatemala e Honduras. Se non l’ombra di un conflitto, potrebbe sorgere però ildubbio che non vi sia la necessaria terzietà e distanza per valutare il caso con assoluta neutralità, ferme restando tutte le cautele che i procedimenti di carattere arbitrale di solito assumono per assicurare giuste decisioni. Quanto alla validità in generale dellacreazione di schemi di sviluppo con zone economiche speciali, la stessa World Bank che pure ne ha sostenuto l’esigenza, ha di recente riportato che i benefici iniziali, in termini di crescita e occupazione, sono assorbiti in un ristretto arco di tempo con effetti di carattere negativo di lungo termine per gli Stati che le hanno create. Del resto, su ciò che è bene per gli altri, il rischio sempre dietro l’angolo non è solo relativo alla sussistenza delle genuinità delle buone intenzioni, ma anche allasensibilitàe lacapacitàstessadi comprendere cosa sia il bene per l’altro: il mondo è pieno di Donne Prassede che credono di avere il monopolio della gestione del bene nell’intento di aiutare la Lucia di turno e che invece portano solo sofferenza. Il tema è quindi quello di comprenderesino a quale misura l’esigenza dello sviluppo possa comprimere, a vantaggio di pochi privati, i poteri degli Stati e soprattutto i diritti delle comunità: diritti che, ancor prima di essere scritti nelle costituzioni, appartengono all’essenza stessa di civiltà. Quel diritto naturale tanto vagheggiato e purtroppo raramente affermato e rispettato, quel diritto che anche i teologi ritengono sia un qualcosa di immanente al vivere sociale e vincolante al punto tale che debba essere rispettato anche da Dio.