L’Italia ha un problema con gli impianti sportivi

 

Pochi, datati, a volte addirittura obsoleti:in Italia gli impianti sportivi esistenti non riescono a garantire a tutte e tutti la possibilità di fruire dell’attività sportiva, ora tutelata anche dall’articolo 33 dellaCostituzione. Non è sorprendente, se si pensa cheil nostro Paese è al 16° posto nell’Unione europea per spesa pubblica dedicata allo sport per abitante: circa 73,6 euro pro capite, il 38% in meno rispetto alla media dell’Ue-27. Le cose vanno ancora peggio se guardiamo l’incidenza della spesa per lo sport sul totale della spesa pubblica, pari solo allo 0,46%: rispetto al resto d’Europa, dove la media è dello 0,75%, il nostro Paese si piazza in terzultima posizione. Fanno peggio solo Malta e Irlanda. A dirlo è ilRapporto Osservatorio Valore Sportdel think tankThe European House Ambrosetti, dedicato all’analisi del settore sportivo italiano e ai modi in cui rilanciarlo tramite l’applicazione di politiche virtuose. Prevedibilmente, secondo il rapportoce la caviamo peggio degli altri Paesi europei anche a livello di infrastrutture: in tutta Italia ci sono solo 131 impianti ogni 100.000 abitanti. 2,4 volte di meno di quelli dellaFrancia, addirittura 4,6 volte in meno della Finlandia, il Paese più attivo d’Europa. Senza considerare l’amplissimo divario territoriale -il 51,8% delle 77.000 strutture è al nord, con un gap percentuale con il Mezzogiorno di 35 punti – la situazione delle scuole – in 6 edifici su 10 non c’è un impianto sportivo e tra le 10 province con meno palestre scolastiche, 9 sono al Sud – e l’arretratezza delle strutture esistenti, il 60% delle quali è stata costruita più di 40 anni fa. Il patrimonio sportivo esistentenon è solo limitato, continua il rapporto, ma“obsoleto e spesso inefficiente”, anche a livello energetico e ambientale. Secondo delle stime effettuate per il 2021 dall’Istituto per il Credito Sportivo, la vetustà degli impianti sportivi italiani provoca inefficienza energetica e un costo annuo di 800 milioni di euro, oltre a elevate emissioni di gas serra. In base agli attuali costi dell’energia, esacerbati dalla crisi inflattiva dell’ultimo anno, la stima può facilmente superare i 2 miliardi di euro. Una cifra già alta, considerando il miliardo di euro previsto dal Pnrr per il rilancio infrastrutturale del settore dello sport e il miglioramento della sua accessibilità alla popolazione, che destina 700 milioni di euro alla creazione e la manutenzione di impianti sportivi e parchi attrezzati e 300 milioni per il potenziamento delle infrastrutture sportive nelle scuole. Una quota che, rispetto al valore totale del Piano, è pari solo allo 0,5%, “risultando nettamente inferiore rispetto al reale contributo del settore all’economia italiana”. Non solo perchéla sedentarietà- per cuici piazziamo al 4° posto in Europa, al 1° se guardiamo solo ai bambini- è un problema che oltre a pesare sulla salute dei cittadini grava anche sulle casse dello Stato:ogni persona sedentaria in meno, infatti,libererebbe 171 euro di risorse economiche del sistema sanitario.Questo significa che se ci allineassimo alla media di sedentarietà dei Paesi Ocse (34,7%), potrebbero essere evitati costi sanitari per 900 milioni di euro ogni anno, che potrebbero diventare 1,8 miliardi se il Paese raggiungesse invece la media dei 3 best performer tra i Paesi Ocse (Finlandia, Svezia e Svizzera, pari al 23,3%). Nel 2019 secondo lo studio di Istituto Credito SportivoIl Pil dello Sport, la filiera estesa dello sport italiana aveva un valore aggiunto di 24,5 miliardi di euro e pesava per l’1,37% del Pil nazionale.La filiera sportiva contribuisce al Pil del Paese in modo più significativo rispetto ad altre importanti filiere nazionali, continua l’Osservatorio Valore Sport 2023, “spesso più celebrate e valorizzate. Il valore aggiunto del comparto dello sport nel 2019 superava del 9% quello dell’automotive, del 61% la filiera del tessile e abbigliamento italiana e di 2,4 volte l’industria farmaceutica”. Non solo: nel complesso, la filiera estesa dello sportnel 2019 occupava circa 420.000 lavoratori, ovvero l’1,65% della forza lavoro del Paese. Il 30% in più di quelli del tessile e dell’abbigliamento, del 55% quelli dell’automotive e oltre 6 volte più quelli del settore farmaceutico.

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