Il mercato dei carbon credits registrerà un boom?
Il mercato dei carbon credit potrebbe conoscere una crescita esponenzialenei prossimi anni, non solo per la necessità delle multinazionali, ma anche per l’esigenza da parte dei Paesi diridurre la propria impronta inquinante: «Mentre il mondo passa a un’economia a basse emissioni di CO2, si prevede che la domanda di crediti di carbonio aumenterà», hasottolineatoRyan Lemand, cofondatore e amministratore delegato diNeovision Wealth Management. Alla conferenza climaticaCop28i delegati hanno discusso lacreazione di un nuovo mercato che vada oltre il valore attuale di 2 miliardi di dollari, dedicato specificatamente agli obiettivi degli Stati nazionali, che vorrebbero accedere facilmente a questo sistema di transazioni percompensare le loro emissioniosfruttare le riserve naturali per incamerare capitali vendendo i crediti. Nazioni come gli Emirati Arabi Uniti, il Giappone, Singapore, la Svizzera e la Corea del Sud, sono intenzionate a scommettere su questa soluzione per contrastare la crisi climatica, e giàdal 2021 hanno avviato 95 accordi preliminari con alcuni Paesi in via di sviluppoper acquistare future riduzioni delle emissioni. A ottobre gli Emirati Arabi avevano annunciato la volontà difar crescere le dimensioni di questo mercato di 50 volte a livello globale: «I mercati del carbonio possono promuovere un’azione climatica reale ed efficace sul campo… con significativi benefici collaterali per il clima, le comunità locali e la natura», avevano affermato le autorità governative. Questo strumento potrebbe dare il via a unenorme flusso di capitali dai Paesi avanzati a quelli più poveri, ma alcuni problemi ecattive praticheinerenti ai carbon credit stanno suscitando notevoli proteste. La velocità degli accordi, gestiti spesso da società finanziarie, hanno suscitato allarmi nelle Ong, dato che i Paesi più poveri non hanno gli strumenti o le risorse per gestire adeguatamente questi processisenza incorrere in pratiche fraudolente, specialmente per quanto riguarda i flussi di denaro, i diritti fondiari e il potenziale impatto sulla capacità dei Paesi di raggiungere i propri obiettivi climatici. Particolarmente esposte sono le nazioni africane, ricche di foreste e aree naturali: «I metodi di sfruttamento potrebbero essere nuovi, ma le conseguenze non sono così diverse da quelle degli ultimi 200 anni che hanno comportato il furto di terre in Liberia. Le promesse fatte alle comunità sono vaghe e imprevedibili ed è come ripetere il disboscamento, l’estrazione mineraria», ha ammonito David Young, un esperto indipendente sul ruolo della società civile nella governance forestale della nazione africana. Altri scienziati hanno messo in guardia sul rischio chequeste pratiche diventino una scappatoia per i grandi inquinatori,disincentivandoli dall’accelerare la transizione verso le fonti rinnovabili. I maggiori produttori di risorse fossili potrebberosfruttare la loro notevole ricchezza economica per comprare i crediti di vaste foreste, mantenendo allo stesso tempo al massimo la produzione di petrolio, carbone e gas, specialmente in un mercato sbilanciato e scarsamente regolato: «Ci stiamo prendendo in giro quando acquistiamo queste compensazioni», ha dichiarato lo scienziato Thales West dellaVrije Universiteit Amsterdam. I Paesi poveri sono quelli che potrebbero subire per primi un nuovo tipo di “colonizzazione economica”. Nella nazione liberiana sono sorte numerose polemiche in seguito all’accordo fra il governo e la società di investimentoBlue Carbon, che ha sede a Dubai, intenzionata a sfruttare i diritti esclusivi persviluppare dei crediti di carbonio legati alla foresta pluviale di Gbi-Doru. Cosa che ha suscitato la reazione allarmata delle comunità locali, ignare dei dettagli dell’accordo.