La crisi climatica potrebbe far perdere il 4,4% del Pil ogni anno
Ilcambiamento climaticoè un tema sempre più centrale in tanti ambiti diversi, tra cui l’economia. Dopo aver confermato latripla B dell’Italianella sua capacità di gestire il proprio debito nei confronti del mercato, oltre ad aver previsto unacrescita dello 0,8%dell’economia europea nel prossimo anno, l’agenzia di valutazione del credito e servizi finanziari americanaStandard&Poor’sritorna con notizie particolarmente amare. Nel suo rapportoLost Gdp: potential impacts of physical climate risksviene messo nero su bianco il rischio sempre più concreto diperdita economicache ogni singolo Paese potrebbe subire nel caso in cui non riuscissero acontenere il riscaldamento globale nel limite dei 2 gradi,ossia la perdita “fino al 4,4% del Pil mondiale ogni anno”. Lo stesso valore limite di gradi rappresenta l’obiettivo fissato nell’Accordo di Parigifirmato da 195 Paesi nel 2015, finalizzato a mantenere la temperatura del Pianeta entro livelli sicuri e a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Un impegno che, pur esistendo sulla carta, appare ancora molto lontano, se si osservano i dati dell’ultimoEmissions Gap Report 2023curato dalloUnited Nations environment programme(Unep), secondo cui leemissioni di gas serra aumentate dell’1,2%nell’ultimo anno fanno andare ilmondo fuori rottarispetto agli obiettivi prefissati. L’allarme lanciato daS&Psi lega infatti alla concatenazione nefasta dieventi climatici aggressiviche potrebbero sorgere in presenza di un progressivo aumento delriscaldamento globale,la cui capacità distruttiva rischia di essere ben più forte della tenuta economico-finanziaria degli Stati,specialmente quelli in via di sviluppo, che hanno disponibilità liquide molto meno abbondanti. Ne è un chiaro esempio il caso delPakistan, colpito nell’estate del 2022 dall’alluvione più intensa degli ultimi 30 anni, con oltre 1.700 vittime, 1,7 milioni di edifici colpiti e altrettanti ettari di terreni agricoli devastati. Un disastro daoltre 30 miliardi di dollarie una spesa per risanamento e ricostruzione stimata dalla Banca Mondiale aalmeno 16,3 miliardi, molto più del bilancio nazionale. Fra le zone meno sviluppate,l’Asia meridionale è quella più fragile a livello economico,con il rischio diperdere annualmente il 12% del proprio Pil.A seguire gli stati dell’Africa sub-sahariana, Medio Oriente e Nord Africa, a rischio erosione dell’8% della ricchezza nazionale, e infine le aree più ricche del mondo, cioèEuropa e Nord America, chepotrebbero perdere il 2%per riparare ai danni del cambiamento climatico. Un problema la cui azione si espande a macchia d’olio se osserviamo ilcore businessin cui opera la stessaStandard&Poor’s,dato che i rischi legati al riscaldamento globale rientrano nei vari parametri di valutazione dei debiti nazionali delleagenzie di ratingche, in caso di voto basso, potrebbe ulteriormente appesantire un’economia nazionale in crisi, impedendole di avere accesso al creditoper finanziare le proprie opere. Il rapportoS&Ppone l’accento sull’importanza della prevenzione di queste spese, realizzabile esclusivamente con poderoseattività di investimentoin sicurezza e “misure di adattamento” mirate a contenere in tempi stretti il livello mondiale di emissione. Il tema sarà oggetto principale dellaCop28, la conferenza annuale delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico che da domani, 30 novembre, avrà luogo ufficialmente a Dubai, negli Emirati arabi uniti. Un Paese che da solo rappresenta quasi il38% della produzione mondiale di petrolio greggio. Le premesse, dunque, non sembrano essere particolarmente rosee. Specialmente se consideriamo che alla conferenzanon parteciperanno Joe Biden e Xi Jinping, vale a dire i presidenti dei 2 Stati più importanti del mondo, oltre chemaggiormente inquinanti.