25 novembre, dai social alle piazze: tutti e tutte insieme verso lo sciopero delle donne

 

“105 donne ammazzate da un uomo da inizio 2023. 22 gli anni diGiulia Cecchettin.La nostra rabbia davanti all’immobilità delle istituzioni pretende ascolto. La nostra rabbia è in movimento”. Comincia con queste parole ilpostfermo e direttoche molte attiviste, ma non solo, in queste ore hannocaricato sulle proprie pagine Instagram, accompagnato da uno foto in cui non compare nulla se non il colore rosso. Rosso come il troppo sangue che le donne versano ogni anno per mano di compagni o ex, rosso come la rabbia, che ha preso il posto delle lacrime, sgorgate a fiumi ma per le quali ormai non c’è (quasi) più tempo. Il tempo di oggi è quello delle rivendicazioni. Fra pochi giorni sarà il25 novembre,che dal 1999 è laGiornata internazionale per l’eliminazione dellaviolenzacontro le donne. Una ricorrenza importantissima ma che troppe volte, negli ultimi anni, si è svuotata di significato, trasformandosi in un giorno buono solo per qualche slogan buttato qua e là, dalla scarsissima utilità sociale e dimenticato nel giro di 24 ore. L’appuntamento principale di quest’anno sarà sabato25 novembre,appunto, aRomacon lamanifestazione nazionale indetta daNon una di meno, con partenza alle 14:30 dal Circo Massimo.Migliaia le persone attese al corteo capitolino, che però non sarà l’unico.Anche Messinaè stata scelta come location della manifestazione nazionale (ore 15:00 da Largo Seggiola), emolte sezioni territorialidell’associazione si stanno organizzando in diverse città d’Italia, da nord a sud, già in questi giorni, per portare in strada la loro voce. Le ore che separano da sabato sono scandite dell’incremento degli appuntamenti fisici, dai versi dellapoesia dell’attivista peruviana Cristina Torres CáceresSe domani sono ioe dalle tante considerazioni social che, dal ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, sono deflagrate in modo dirompente, sintomo di una bomba a orologeria pronta a scoppiare ormai da tempo. Per questo una manifestazione in piazza non basterà e lo sanno bene tuttele attiviste che si stanno organizzando per fare qualcosa di più, sul modello islandese.Alcune settimane fa in Islanda le donne hanno indetto unoscioperogenerale astenendosi dal lavoro fuori casa ma anche tra le mura domestiche, per rivendicare la parità salariale. Il Paese a livello europeo è uno di quelli in cui il gender gap è meno forte ma nonostante ciò tutte o quasi hanno incrociato le braccia per pretendere di più, per pretendere tutto. Lo stesso che, si spera, possa accadere anche in Italia, per iniziare per lo meno aincrinare quella cultura patriarcale che ogni cosa avvolge e governa. «Il nostro intento è dare un segnale forte rispetto alla violenza di genere, che è ormai violenza di Stato. Vogliamo riportare la condizione femminile con urgenza nell’agenda politica, perché divario salariale, violenza e discriminazioni sono facce della stessa medaglia e non è più possibile rimandare la questione. Vogliamo scioperare perché solo diventando un problema possiamo sollevare il problema», spiegaElla Marciello, una delle ideatrici della mobilitazione che dal tardo pomeriggio di domenica sta diventando virale, tingendo di rosso sempre più feed su Instagram. Una mobilitazione imponente come mai prima d’ora, trainata e propiziata allo stesso tempo dal successo cinematografico del momento, ilfilm di Paola CortellesiC’è ancora domani, che restituisce la voce alle donne di ieri, che con il loro doloroso silenzioso hanno fatto la storia del Paese senza saperlo, come ha detto a più riprese la stessa regista; e spinge quelle di oggi a riaffermarla con forza, anche in loro memoria. Proprio Cortellesi, nei giorni scorsi, dalle pagine diVanity Fairha lanciato unappello a Giorgia Meloni ed Elly Schleinperché mettano da parte le divergenze politiche e lavorino insieme al contrasto dei femminicidi, a partire dalle scuole; e in queste ore, tramite i social, sta rilanciando post sulla vicenda, per chiedere (come tutte) che si faccia di più e che si faccia ora. A spalleggiarla sono molti altri volti noti, daFederica Pellegrini, che postando una sua foto con il pancione si è rivolta alla figlia che deve ancora nascere dicendole che la costringerà “a sentirsi libera a ogni passo”, aFiorella Mannoia, Laura Pausini, Barbara D’Urso, Alessia Marcuzzie molte altre. Tra queste ancheChiara Ferragni, che ha condiviso a più riprese le parole di Elena Cecchettin, soprattutto le ultime pronunciate poche ore fa di fronte alle telecamere, alle quali la sorella di Giulia ha tenuto a ribadire come Turetta “non sia un mostro ma un figlio sano del patriarcato”, una condizione di cui tutti gli uomini, anche quelli non violenti, traggono beneficio. Uominichiamati a unapresa di coscienza collettivache molti, trincerandosi dietro un più o meno esplicito “not all man”, fanno ancora fatica ad assumersi, ma che altri iniziano, timidamente, a esercitare. ComeFrancesco RengaeClaudio Marchisio, che hanno chiesto scusa a Giulia ammettendo che il problema siano gli uomini, oErmal Meta, che ha parlato del branco e degli uomini che vanno educati, fino aPiero Pelù, che ha scritto “Mi vergogno di essere uomo. Siamo tutti da rifare”. Tutto questo basterà? No, ma perché la politica prenda finalmente coscienza di un’urgenza non più rimandabile è necessario iniziare e, come ha chiesto Elena Cecchettin, non fare minuti di silenzio ma (simbolicamente)bruciare tutto.