Azienda in crisi? Chiama una Ceo (e poi licenziala)
Ledonnenelle aziende arrivano con molta più difficoltàin posizioni di vertice, e anche quando ci riesconodurano meno degli uomini.“Ah ma allora lo vedete che siete meno brave di noi a dirigere e comandare”: sembra quasi di sentirla la voce del maschio alfa di stampo patriarcale di turno, ringalluzzito da questa notizia che, però, non fotografa affatto una storia di merito di genere (maschile) ma, come tristemente prevedibile, di discriminazione di genere (femminile). Infatti, dall’analisicompiuta daRussell Reynoldssu società quotate in 12 borse di tutto il mondo è emerso che dal 2018le donne sono durate in media 5,2 anni come amministratrici delegate rispetto agli 8,1 anni degli uomini. Su questi dati pesa il fatto che moltiCeouomini fossero in carica da decenni al momento della rilevazione (uno addirittura da 39 anni), ma anche e soprattutto il fenomeno poco noto ma potentissimo della “scogliera di vetro” (glass cliff),da non confondere con il soffitto di vetro o cristallo (glass ceiling). Se quest’ultimo indica una serie di ostacoli di natura sociale, culturale o psicologica, apparentemente invisibili ma insormontabili, che impediscono a determinate categorie di persone, discriminate per genere, etnica o orientamento sessuale, di avanzare nella propria carriera, il secondo è più sottile. Con il terminescogliera di vetrosi intende il fatto chele donne abbiano maggiori probabilità di essere nominate Ceo quando un’azienda è in un momento di crisi. Anche se d’istinto questa scelta potrebbe sembrare un attestato di stima nei confronti della professionista in questione, alla quale si riconoscerebbe la capacità di guidare la società in un momento tanto delicato, non lo è affatto.Le realtà in crisi, infatti, non sono solo logisticamente più difficili da gestire, mapresentano molti più rischi di fallimento o di andare incontro a periodo burrascosi, spesso indipendenti dalle azioni di chi le guida, ancor più se sopraggiunto in un momento già compromesso. Una barca allo sbando in mare aperto, insomma, ha molte probabilità di affondare e nemmeno un capitano valoroso se scelto quando le onde sono già alte spesso può salvare la situazione.Le donne quindi, essendo più spesso degli uomini chiamate a risolvere situazioni disperate,occupano posizioni il più delle volte precarie già in partenza.Logico quindi che la loro leadership possa durare meno. Il concetto diglass cliffè stato introdotto per la prima volta nel 2004dai professori di psicologia del lavoro dellaUniversity of Exeter, nel Regno Unito, Michelle K. Ryan e Alexander Haslam, proprio a seguito di uno studio sull’argomento. «Se le donne hanno maggiori probabilità di assumere ruoli di leadership in tempi di crisi, ne consegue che il loro tempo in ufficio sarà probabilmente stressante e più attentamente controllato» spiega Michelle K. Ryan, che ora è direttrice delGlobal Institute for Women’s Leadershippresso l’Australian National Universitydi Canberra. Da loro, dunque, si pretende l’eccellenza là dove ai colleghi maschi molto spesso è richiesto decisamente meno. A distanza di 20 anni da quel primo studio, poco o nulla sembra cambiato. L’articolodel 2020 pubblicato suPsychological Bulletinha infatti confermato l’equazione azienda in crisi = donna Ceo e come questo fenomeno sia più forte nei Paesi con una maggioredisuguaglianza di genere.Un trend convalidato anche oggi dallo studio dellaRussell Reynolds. Ma perché le donne vengono più spesso nominate in momenti di difficoltà?Una risposta ufficiale ovviamente non esiste ma tra le ipotesi più accreditate da diversi studiosi, e anche dalla semplice osservazione della società, c’è sicuramente il fatto chela carriera delle lavoratrici sia universalmente percepita come “più sacrificabile”rispetto quella maschile e, quindi, se le cose vanno male, mandare avanti una professionista rappresenta il male minore per un’azienda. Incisivo anche il sempreverde luogo comune secondo il qualele donne sarebbero naturalmente portate per risolvere i problemi.Una vocazione all’accudimento traslata dalla casa al mondo del business che si tramuta, ancora una volta, in una discriminazione. A dirlo sono anche i numeri.Solo 9 donne ricoprono il ruolo di amministratrici delegate delle societàFTSE 100(le principali 100 aziende quotate in borsa). Per provare a incrementare questo numero, in modo durevole e non effimero, Denise Wilson, amministratrice delegata diFTSE Women Leaders, sta cercando di aumentarne il numero nei consigli di amministrazione delle aziendeFTSE 350e50delle più grandi società private del Regno Unito. «Abbiamo compiuto progressi significativi in quasi tutti i parametri e ruoli ma il Ceo è l’ostacolo più duro da superare, sul quale stiamo lottando. I ruoli di amministratori delegati hanno un turnover molto basso e questo rende più difficile ogni miglioramento. Inoltre, gli uomini molto spesso godono di un maggiore supporto all’interno delle aziende nelle quali operano. Possono subire grandi battute d’arresto e rialzarsi, mentre le donne Ceo se qualcosa non va tendono poi a intraprendere una carriera alternativa». Quasi mai spontaneamente. In questo mare di sconforto sembrano però esserci alcuni aspetti positivi.Il numero di donne nei consigli di amministrazione delle aziende parte dell’FTSE 350è ora pari al 41%, rispetto al 9,5% del 2011eRussell Reynolds, tramite un sondaggio condotto su 1.500 leader in tutto il mondo, ha scoperto che non ci sarebbero differenze significative nel modo in cui donne e uomini vengono percepiti dalle persone che lavoravano per loro. Anzi, seppur giudicati ugualmente efficaci come leader, alle donne è stata riscontrata una maggiore bravura nel coaching e nello sviluppo.