Ha spopolato e continua a campeggiare intrepido suisocial networked è larappresentazione per antonomasia che offriamo di noi stessi al mondo, il processo attraverso il quale diamo un volto alla nostra identità. Si tratta naturalmente delselfie, divenutoparola dell’anno 2013secondo l’Oxford English Dictionaryche la definisce “una fotografia scattata a se stessi, in genere con uno smartphone o una webcam, e caricata su un social media”. A portare a quella nomina da parte dellaOxfordUniversity Pressè stata una ricerca condotta su circa 150 milioni di vocaboli dell’inglese corrente, dalla quale emerse chein quell’anno vi era stata un incremento da parte di questa parola del 17.000%. Niente male per un termine neonato: il suo usonasce infatti nel 2010 con il lancio dell’iPhone4, il primo cellulare ad avere una fotocamera anteriore. Tra i selfie passati alla storia che hanno contribuito alla sua designazione a parola dell’anno, avvenuta a scapito di altre comebitcoinetwerkc’è anche il memorabile autoscatto che ha visto protagonista Papa Francesco con un gruppo scout di Piacenza. Pratica diffusissima dunque, chevanta antenati illustri: dagliautoritratti rupestri degli antichi, scolpiti intorno al 2650 a.C. e ritrovati nella tomba di Ptahhotep, presso le piramidi di Saqqara, agli esempi emblematici diimmagini di se stessifatti da autori illustri comeRembrandt, Van Gogh o Frida Khaloper la pittura; oRobert Capa, Richard Avedon e Vivian Maierper la fotografia. Esempi di auto rappresentazione trasformatisi nel tempo e divenuti, oggi, unrituale sociale basato sulla condivisionee il collegamento con una comunità virtuale di utenti. Un meccanismo sfruttato anche da molti artistiper creare lavori partecipativie da museicome ilSelfie Factorydi Londra o lo statunitenseMuseum of Ice Creamche offrono la possibilità di autoritrarsi in ambienti bizzarri: un vagone della metropolitana rosa confetto, per esempio, o una vasca da bagno colma di palline colorate. Come spiega il libroAutoritratto. Storia e tecnologie dell’immagine di sé dall’antichità al selfie(Treccani edizioni, 2023) di Gabriella Giannachi, storica dell’arte e direttrice del Centre for Intermedia and Creative Technologies all’University of Exeter,l’autorappresentazione viene realizzatanon solo come pratica fine a se stessa, maanche, e soprattutto, in funzione della sua ricezione da parte degli spettatori e delle spettatrici. Al centro di questo atto artistico c’è larelatability(relazionabilità), che funziona «come un ipotetico “essere visti” nel futuro» e come «un atto di compresenza» con l’osservatore. Ma non solo,il selfieriguarda anche il corpo, la pelle ediventa espressione di denuncia, come quella messa in atto dall’artista contemporanea sud-africanaMuholi, che si autoritrae con in testa e al collo una corda identica a quelle che venivano usate nelle impiccagioni delle persone non caucasiche nel suo Paese, mostrando – e denunciando – sofferenza e dolore.
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