Israele-Hamas: perché i video sui social ottengono milioni di views?

 

Dall’inizio delconflitto tra Israele e Hamas,isocialsono stati inondati da contenuti il cui obiettivo è informare gli utenti o aiutarli a farsi una propria opinione su quello che sta accadendo. Moltigiovani che vivono nella Striscia di Gaza, Cisgiordania e Israelehanno iniziato a esprimere i propripensierisulle piattaforme, raccontando come la loro vita quotidiana sia influenzata dagli scontri in atto. Leila Warah, una giornalista freelance di 25 anni, è una di loro. A partire dall’inizio della guerra racconta sui propri profili come questo nuovo capitolo del conflitto israelo-palestinese stia cambiando la sua vita in Cisgiordania. I suoi video su TikTok in cui, per esempio, racconta la storia della Striscia di Gaza o fa vedere come nel suo villaggio non ci sia abbastanza acqua per lavarsi i capelli, hanno ricevuto in totale 1,2 milioni di visualizzazioni. La suanarrazione è diretta, senza filtri, ma non per questo meno autorevole di quella dei suoi colleghi dei media tradizionali. «Penso che le persone vogliano davvero cose appetibili e facili da capire, ma anchecostruite per i social media, che sono i luoghi su cui le persone oggi si informano»,ha spiegato alWashington Post. Il lavoro di Warah sta aiutando molte persone ad avereinformazioni di prima mano su ciò che sta avvenendoin Medio Oriente nonostante la distanza geografica. Ladisintermediazione dei socialsembra riuscire ad appassionare le giovani generazioni molto di più rispetto ai media tradizionali. Si tratta di un mix tra ilCitizen journalism(ovvero i video e i filmati postati sulla rete da persone comuni) e l’abilità narrativa dei creatorche riescono a spiegare in termini semplici e diretti questioni tutt’altro che facili. Anche il Governo israeliano se ne è reso conto e, all’inizio della scorsa settimana, ha iniziato areclutarecontent creator vogliosi di raccontare il punto di vista di Tel Aviv sul conflitto. Un’operazione diretta non solo all’audience israeliana, ma anche a quella internazionale. Al tempo stesso i social sono considerati anche un modo per i palestinesi di uscire dall’ombra in cui sono spesso relegati dai media occidentali. Secondo Warahpiattaforme come TikTok garantiscono alle voci della Gen Z palestinese di essere finalmente rappresentatein un dibattito, quello del mondo occidentale, che spesso le ignora. Ma disintermediazione non fa sempre rima con informazione. Come riportato dalFinancial Times, dopo l’esplosione del conflitto sui social sono iniziate a circolare moltissimefake news.Alcuni utenti hanno, a esempio, condiviso un video in cui si vedeva una folla di persone dare fuoco a una ragazzina. Il filmato veniva collegato agli attacchi di Hamas contro Israele, ma in realtà risaliva alle proteste in Guatemala nel 2015. Il commissario europeo del Mercato interno Thierry Breton ha scritto 3lettere distinte a Meta, X e TikTokproprio per chiedere alle piattaforme dicercare di arginare questo tipo di fenomeni. Ma in molti dubitano sulla reale capacità dei social di riuscire a moderare tutti i contenuti presenti. Un esempio su tutti: negli ultimi giorni utenti filopalestinesi (o che semplicemente raccontavano quel che stava succedendo a Gaza) hanno denunciato di essere finiti inshadow ban(ovvero, ricevono visualizzazioni e reazioni limitate ai propri contenuti); Meta ha fatto sapere chesi è trattato di un bugdovuto ad alcuni errori di moderazione avvenuti il 13 ottobre. La guerra è sbarcata sui social. E anche per loro gestirla non sarà facile.