Sostenibilità imprese: cosa sono e quanto costano i certificati verdi

 

Icertificati verdistanno diventando una spina nel fianco per molteaziende, che si ritrovano a dover affrontarecosti a volte troppo elevati. Introdotti perpromuovere la tutela dell’ambientee tentare diresponsabilizzare gli imprenditoriverso un comportamento consapevole e, soprattutto,poco impattante, ora come ora costituiscono un pesante fardello da sopportare. Un esempio in questo senso è laFbmdi Marsciano in provincia di Perugia: per l’azienda, il costo dei crediti legati alla CO2 arriva a pesare per circa 2 milioni di euro ogni anno. Ma cerchiamo di capire meglio cosa sta accadendo. Certificati verdi: cosa sono e come si ottengono Anche chiamati CV, icertificati verdisono, in estrema sintesi,incentivazioniche vengono rilasciate dalGestore Servizi Energetici (Gse)e che assumono la forma dititoli negoziabili.Il loro rilascio ha una funzione ben precisa: incoraggiare la produzione da parte delle imprese dienergiaattraverso impianti alimentati dafonti rinnovabili,che siano qualificatiIafr. L’azienda, per riuscire a ottenere i certificati verdi, deve essere in grado didimostrare la produzione di energia sostenibilecon un’emissione complessiva diCO2 che risulti essere inferiore rispetto a quella che proviene dalle fonti di energia tradizionali.La quota è pari al 2% dell’energia elettrica che viene prodotta o che risulta importata. E che, soprattutto, risulti essere superiore ai 100 GWh/anno. Il certificato verde può essererivenduto alle impreseche, in completa autonomia,non sono in grado di raggiungere la quota di energia rinnovabile richiesta.Lo scopo dei certificati verdi è tutelare l’ambiente e cercare di salvaguardare l’ecosistema, ridurre al massimo l’inquinamento dell’aria e proporre un impiego sostenibile delle risorse a disposizione. Certificati verdi: quanto valgono Dopo 3 anni, i certificati verdi cessano di essere negoziabili. Dal 1° gennaio 2016, però, il meccanismo è sostanzialmente cambiato ed è stato sostituito da una nuova modalità di incentivo. A seguito dell’emanazione di un nuovo decreto, i soggetti che hanno dimostrato i requisiti per poter ottenere un CV possono continuare aconservare il beneficio per il periodo agevolato che resta. Anche se la forma cambia. IlGseprovvede a erogare i certificati verdi su base trimestrale entro il secondo trimestre successivo rispetto a quello di riferimento. In attesa della nuova documentazione, le società hanno la possibilità di continuare a ottenere la certificazione mensile della produzione incentivata. I problemi allo stato pratico Se sulla carta icertificati verdipossono sembrare un valido sistema per tutelare l’ambiente e gestire al meglio le risorse, sul piano pratico tutto cambia. Icosti possono rivelarsi pesanti per leaziende. Ne è un esempio, in questo senso, l’azienda umbraFbm- Fornaci Briziarelli Marsciano, specializzata nella produzione di tegole in laterizio. Per riuscire a evitare i pagamenti previsti dall’Emissions trading system (Ets)europeo si ritrova costretta a dividere in 2 unità l’impianto di Marsciano, in provincia di Perugia. Nello stabilimento sono già presenti 2 linee produttive: la scissione permette di dividere le emissioni annue di CO2 ed evitare di versare delle cifre troppo elevate. In vigore dallo scorso 2005, l’Etsprevede che gli operatori più energivori (tra i quali rientrano chi opera nei settori del cemento, acciaio, alluminio, ceramica, vetro, chimica) abbiano untetto massimo di emissionioltre le quali è necessario acquistare sul mercato i crediti per compensare la CO2 prodotta (in altre parole: i certificati verdi). Il problema è costituito, a questo punto, proprio dalvalore degli scambi che i CV hanno raggiunto oggi, che si attestano intorno agli82 euro per tonnellata(in estate avevano raggiunto il picco dei 90 euro). Nel 2013 si parlava di una cifra orientativa di 4 euro, salita nel 2019 a 20 euro e lievitata a inizio 2021 a 40 euro. Le piccole aziende Insieme a pochi altri Paesi, l’Italia ha messo a punto, già a partire dal 2012,misure equivalenti all’Ets in termini di riduzione: il cosiddetto opt-out, a cui possono aderire quanti emettono meno di 25.000 tonnellate di CO2 ogni anno. «Gli impianti più piccoli, tra cui numerosi produttori di ceramica, in particolare di laterizi, hanno aderito alle misure nazionali, che a parità di obiettivo ambientale, risultano meno onerose rispetto all’Ets – spiega Vincenzo Briziarelli, presidente diFbme di Confindustria Umbria – Questa situazione ha generato un effetto distorsivo per la nostra società, laddove tutti gli impianti italiani del comparto hanno potuto aderire all’opt-out, mentre il nostro è l’unico rimasto nell’Ets, avendo emissioni di poco superiori alla soglia di accesso alle misure equivalenti. Questo comporta che, nonostante il nostro sito produttivo risulti uno dei migliori di Europa, a seguito di investimenti in impianti, tecnologia, attenzione per l’ambiente(le nostre cave sono adiacenti alla produzione riducendo quindi tutte le emissioni dovute dal trasporto) siamo penalizzati solo perchégrandi, pur avendo emissioni per unità di prodotto al livello delle migliori societàeuropee».