“La Memoria delle Emozioni” racconta cos’è l’Alzheimer

I dati sono impressionanti: secondo l’ultimo rapporto dell’Adi(Alzheimer’s Disease International), nel mondol’85% delle persone con demenza non riceve curee, dopo la diagnosi, i malati vengono abbandonati a sé stessi o alla famiglia (se esistente). E in Italia? Oltre un milione di cittadini, secondo l’Istituto Superiore di Sanità (quasi 1 milione e mezzo, per lo più anziani, secondo la Federazione Alzheimer Italia), vivono con queste patologie, senza contare i3 milioni di persone direttamente o indirettamente coinvolte nella loro assistenza.I fondi stanziati nel nostro Paese (14 milioni di euro) sono assolutamente insufficienti, ma rappresentano comunque un primo passo significativo. Sconvolge ancor più che, secondo quanto riferito da Paola Barbarino, responsabile della sede di Londra diAdi,oggiil 62% degli stessi operatori sanitari considerino il deterioramento cognitivo che porta alla demenza(che lo scrittore Martin Amis definì suggestivamente come “L’immobilità senza vento”, riferendosi alla malattia che colpì l’autore Saul Bellow) come uneffetto fisiologico dell’invecchiamentoper cui non ci sarebbe nulla da fare. In troppi pensano che con la demenza non ci sia nulla da fare: “Se è vero chenon è ancora stata trovata una soluzionefarmacologica, bisogna dire con forza chemolto si può e si deve fareper migliorare la qualità della vita delle persone affette da demenza e dei loro familiari”. Da qui l’importanza, secondo la stessa Barbarino, di incrementare l’assistenza pubblica investendo in servizi e strategie dicaregiving. In occasione dellagiornata mondiale dedicata all’Alzheimer (21 settembre), è andato in onda in prima tv su Rai 3 l’emozionante documentarioLa Memoria delle Emozioni,prodotto da Libero Produzioni in collaborazione con Rai Documentari e Cooperativa La Meridiana di Monza. L’opera in questione, già presentata il 7 settembre in anteprima all’80° Mostra del cinema di Venezia, parla diPaese Ritrovato,un vero e proprio piccolo borgo, situato aMonza, che ospita più di60 persone colpite dalla patologiae che, rivoluzionando il modo di intendere la malattia, offre alle persone conAlzheimere demenza la possibilità divivere la propria autonomia residua in libertàe, al tempo stesso, di usufruire della necessaria assistenza e protezione. Si tratta di unmicrocosmo, composto daabitazioni dalle forme e colori rassicuranti, dove le persone affette da demenza sonolibere di scegliere cosa faredel proprio tempo e ritrovano una dimensione di socialità che restituisce valore alla loro vita. Grazie alle testimonianze sincere e commosse delle persone stesse, dei loro parenti, delle operatrici socio-sanitarie e dei volontari coinvolti in questo progetto innovativo, ildocufilmsvela come, nonostante l’Alzheimer porti al declino inesorabile delle funzioni cognitive e al deterioramento della personalità (di fatto non è stata ancora trovata una soluzione farmacologica), lacapacità dei malati di percepire emozioni e sentimenti possa rimanere viva e accesa. Tra le offerte di questa struttura, la cui retta giornaliera è di93 euro,ci sonoservizi sanitari, servizi alla persona, servizi riabilitativi, assistenza psicologica, attività rieducative, servizi sociali,oltre chesupporto spirituale(un sacerdote del centro racconta come sia importante per le persone che non riescono a rapportarsi al futuro poter credere in qualcosa nell’immediato presente). Si segnalano inoltre, tra le belle iniziative di questo progetto, anche i corsi direcitazionee improvvisazione teatrale, finalizzati (sotto la guida attenta ed esperta di drammaterapeuti) a far mantenere viva la memoria cognitiva e a rafforzare quella emotiva.«La memoria è la nostra identità, ci dice chi siamo e da dove veniamo. Se smette di funzionare la cosa diventa drammatica», racconta uno degli operatori del centro. Il pregio principale di quest’opera è quello di offriresenza toni pietistici e melodrammaticiun racconto semplice e diretto che, oltre a far conoscere un male che colpisce la memoria di un individuo e la sua identità e che sconvolge drammaticamente le famiglie del malato (per questo si parla comunemente di “malattia della famiglia”), dimostra come sia possibile accompagnare adeguatamente la persona e la sua famiglia in un percorso sì doloroso (un figlio di una malata dice «il futuro è l’evolversi della malattia è ineludibile, a ogni incontro si perde un pezzetto, cosa ci aspetta il futuro lo sappiamo»), ma non per questo privo delle emozioni e dei sentimenti che danno un senso alla vita di tutti noi. Verrebbe voglia di abbracciarli attraverso il video questi bei signori e signore dai capelli argentati, che il più delle volte si ricordano dei momenti lontani del passato ed emotivamente più significativi manon ricordano le piccole cose del quotidiano,che hanno fatto 5 minuti prima. Dietro la profondità e dolcezza del loro sguardo, Annamaria, Sante e Angelinaassomigliano abambiniper il loro candore, purezza, mancanza di filtri e fragilità e, anche nei momenti di rabbia e presunzione, tipici anch’essi dei bambini («io sto bene e non ho bisogno di nessuno») e nonostante il mutamento della concezione di spazio e tempo, conservano intatta la capacita di percepire l’amore e gli affetti e di emozionarsi ancora per le piccole cose. Uno dei momenti più toccanti del film è quando la figlia propone alla madre malata un giro sul tramATMosferaa Milano e la mamma entusiasta alla fine del giro racconta con occhi sognanti da bambina: «È stata una cosa che non dimenticherò mai, penso, il più bel giorno della mia vita». Ma come si colgono i primi segnali e come intervenire in seguito? Letestimonianzedei vari protagonisti spiegano che a volteil confine tra salute a malattia è sottile,e non capire cosa succede nella mente di una persona cara è doloroso perché non si sa come aiutarla. Per questo le famiglie (il cui istinto naturale immediato è spesso quello di far finta di nulla anche perché in preda alla paura) devono essere debitamente consigliate e assistite. Il primo segnale è solitamente laperdita più o meno grave della memoriae una serie di mutamenti caratteriali. Il periodo peggiore, fortunatamente di non lunga durata, è invece quello in cui la persona acquistaconsapevolezza della propriamalattia.Soprattutto in questa fase è fondamentale che il malato non venga lasciato da solo, che non venga mai contraddetto, che non gli vengano poste domande a cui non sa come rispondere, e per tutto questo ci vuole un atteggiamento di estrema gentilezza e vicinanza. Dopo il medico di famiglia bisogna rivolgersi ai C.D.C.D. (Centri Disturbi Cognitivi e Demenze) competenti, e da qui inizia il percorso degli interventi riabilitativi. Veniamo poi a sapere, grazie alle parole della figlia di una paziente, che tra i sintomi più comuni, disturbanti e faticosi che si registrano durante il decorso di questa patologia ci sono una serie dimovimenti ripetuti ossessivamente, una sorta di vagare perpetuo e a-finalistico (il cosiddettowandering), di cui non si conoscono ancora le cause esatte e che richiede un grande dispendio di energie fisiche e mentali da parte del caregiver.Anche in queste circostanza è importante che, per quanto difficile, la persona vicina al malato non si spazientisca e non si faccia assalire dalla rabbia ma vigili costantemente sul malato e riesca in qualche modo a fargli sentire che non è solo. Ad impreziosire questo racconto ci sono letestimonianze di alcuni personaggi famosicome l’attore Giulio Scarpati, il make-up artist Diego della Palma e il dottor Marco Trabucchi, medico esperto diAlzheimer, che con la loro sensibilità e talento ci raccontano la propria esperienza familiare diretta con la malattia. La sigla finale del documentario è invece affidata a Enrico Ruggeri, che proprio alPaese Ritrovatoha ambientato il videoclip del suo ultimo brano Dimentico, ispirato a una persona malata di Alzheimer.