Libertà e responsabilità
I concetti diresponsabilitàelibertàsono stati messi a dura prova in questo periodo nelle vicende diviolenzagiovanilee nell’uso dei social media che le accompagna ormai sempre. Più che interrogarci sulle biografie dei giovani carnefici e andare a ricercare l’ipotetica causa dei loro gesti, l’ingranaggio rotto o manomesso che ha prodotto l’evento,dovremmo interrogarci sulla deriva educativa alla base. Questi ragazzi sono figli di qualcuno, hanno incontrato professori nel loro cammino scolastico, il mondo degli adulti è stato intorno a loro.Qualcosa abbiamo sbagliato, noi adulti. In passato la società e la cultura ci dicevano, in base alla classe sociale o alla religione, chi dovevamo essere. Questo ci forniva da un lato un certo senso di sicurezza e tranquillità, dall’altro, essendo un elemento costringente, ci procurava anche una buona dose di frustrazione. All’opposto, oggi,la cultura dominante ci illude, proponendoci continuamente una molteplicità infinita di rappresentazioni e possibilità.Ci vuole convincere che possiamo sperimentare qualsiasi cosa, essere qualsiasi cosa, fare qualsiasi cosa. L’ideologia del supermercato globale infatti è fondata su due fantasie. La prima riguarda un eccesso di fiducia come possibilità di autoplasmarsi e di autodeterminarsi, la seconda lapossibilità di fare e diventare qualsiasi cosa. Una fantasia di onnipotenza. Allo stesso tempo, però poiché nessuno ci dice cosa essere o ci regala un’identità preconfezionata,diveniamo anche responsabili di chi siamo, di quello che diveniamo di fronte a noi, agli altri, alla società. Tutto questo non ci avvicina affatto allalibertà, valore civile e culturale ma soprattutto valore identitario di ognuno di noi.La libertà si dispiega nella ricerca di una fedeltà profonda a se stessie alla propria esperienza. Quel chedovrebbe muovercièl’idea di diventare persone migliori. Dovrebbe spingerci il desiderio di trovare in noi stessi e nelle nostre relazioni forme di umanità più profonde, più intense, più belle. Una vera ricerca esistenziale parte non da una semplice mancanza che si può colmare a piacimento, ma da una condizione accettata di incompiutezza.C’è sempre qualcosa di assente che ci tormenta, qualcosa che ci incanta, che ci impedisce di bastare a noi stessi e ci spinge a cercare ancora per noi e per gli altri. Si tratta di un desiderio vitale di fondo, di una tensione e di un’apertura senza determinazioni prevedibili. Noi possiamo mantenere una tensione ideale, un orizzonte di senso, una direzione interiore ispirata a qualcosa di non ancora raggiunto. È la disponibilità verso qualcosa che non conosciamo, che è più grande di noi e che è sempre appena di là da venire. Una direzione comune piuttosto che una meta raggiungibile da soli. E alloranoi adulti dovremmo interrogarci sulle prove che affidiamo aigiovani. Ogni società si edifica sull’educazione dei propri ragazzi, le verifiche che i giovani devono passare per traghettarsi al mondo adulto sono preparate dall’educazione che essi ricevono. Dovremmo rivedere le prove che mettiamo nel cammino della loro crescita, non quelle esplicite: gli esami, la maturità sessuale e affettiva, ma quelle taciute, quelle inconsce che gli passiamo come educatori e come genitori. Solo così potremmo contrastare quella che la filosofa Hannah Arendt chiama labanalità del male, che può annidarsi nelle vite apparentemente risolte e protette dei nostri ragazzi. L’unico linguaggio, per comprendere i propri figli, rimane l’alleanza etica che ogni parola autentica reclama.