Tra cure di lusso e crudeltà: i due volti della Cina sugli animali
Nel mondo degli animali c’è un nuovo tipo di business che si sta facendo largo, svuotando i portafogli e rivelando un lusso sfrenato e, forse, ingiustificato: è quello dellapet economy, un modello di economia che ruota intorno a unfantomatico ed esagerato benessere degli animali domestici. Dalle spa per cani ai massaggi rilassanti per i gatti, passando per bagni termali, maschere d’argilla, vestiti su misura con tessuti pregiati e toelettature a cadenza settimanale, con piega, smalto e profumo inclusi. Il mercato dellapet economyè in grado di offrire vizi e comfort di ogni tipo, ma anche di dividere in due l’opinione pubblica: da un lato chi difende le cureluxuryper i migliori amici dell’uomo e dall’altra chi sostiene un’umanizzazione tale daprivare gli animali dell’essenza della loro natura, libera e selvaggia. Se in gran parte del mondo l’idea di toelette e vestitini per cani accende i dibattiti e fa discutere senza, però, creare granché scalpore, ben diversa è la situazione inCina, un Paese di cittadini storicamente e culturalmente restii al possesso di animali domestici, ma in cuil’adozione di animali d’affezione sta diventando un trend sempre più popolare. E se Mao Zedong riteneva che fossero un esclusivo lusso borghese,oggi a smentirlo sono i numeri. In Cina, infatti, complice un’accresciuta sensibilità personale e una mentalità dei giovani sempre più cosmopolita,sono diventati quasi 120 milioni i cani e i gatti adottati dai cittadini, l’industria pet ècresciuta del 25% in pochissimi mesie nelle città nascono ogni giorno centri di salvataggio e adozione. Qui gli animali domestici hanno appuntamento fisso nei saloni di bellezza, piatti gourmet serviti 3 volte al giorno, camere da letto e cucce di ogni forma e dimensione. Una vita tra vizi e comfort, anche quando basterebbe una pallina sbiadita e consumata e un giardino in cui correre per renderli davvero felici. Purtroppo, però, quello dei centri benessere e delle piacevoli cure è solo uno dei due volti che la Cina mostra quando si parla di animali: mentre associazioni animaliste hanno alzato più volte la voce contro il Governo affinché venissero approvateleggi contro il commercio e il consumo della carne di cane– una pratica ormai in disuso e rimasta solo in piccole comunità – , quasi nessuno pare ricordarsi di fare qualcosa perfermare la barbarie e le crudeltà esercitate negli allevamenti di bestiame. Esistono, quindi, animali di serie A e animali di serie B? Tutto il mondo è paese, manegli allevamenti della Cina sembra non esistere neanche un diritto alla dignità in punto di morte. Qui non vi sono forme di tutela per gli animali e l’idea che questi possano avere sentimenti o diritti è pura fantascienza. Non è un caso, allora, se su una scala da “eccellente” a “scarso” – costruita dal gruppo attivistaWorld Animal Protection Ukper valutare le condizioni di benessere degli animali – il Paese orientale si attesti sullo “scarso”:qui il bestiame può essere macellato senza essere prima stordito(un ultimo atto di umanità prima della crudeltà), i polli vengono rinchiusi in anguste gabbie metalliche e i maiali vivono in centinaia in condizioni estreme all’interno di piccole strutture. Non si tratta di rispetto della tradizione e neanche di abitudine a un rodato stile di vita. Si tratta di un livello culturale e d’istruzione talmente basso da diventare parte del problema, se non causa di esso.Lo afferma Peter Li, professore dell’Università di Houston-Downtown. Così, se secondo il pensiero del popolo cinese gli animali da allevamento non hanno bisogno di cure o benessere – e anzi, “quelli uccisi senza alcun dolore non hanno lo stesso gustoso sapore di quelli macellati in maniera naturale”-, allora forsesi rende necessario un cambiamento educativo e culturale nel modo di pensare il bestiame: non più merce di scambio e potente fonte economica, maesseri senzienti e capaci di provare gioia, dolore, paura e tristezza. È necessario educare il cittadino ascelte alimentari più sostenibilie sensibilizzarlo per aumentare la consapevolezza sul tema del benessere degli animali e creare una coscienza che, almeno sul piano dei diritti e delle tutele, non faccia distinzione tra quelli d’affezione e quelli da allevamento.