Com’è nata la vita sulla Terra?

 

Le teorie che si sono susseguite negli anni sullanascita della vitasulla Terra sono tante. Tra le più antiche, quella delcreazionismo, secondo cui a creare la vita sul nostro Pianeta sia stato un essere divino. La rivoluzione scientifica e i progressi della ricerca, però, si sono fatti strada nel corso dei secoli e hanno messo all’angolo questa teoria, fino a superarla abbondantemente, per fare spazio a idee, ipotesi e teorie studiate, fondate etestate scientificamente. Come quella diOparin, il biochimico russo che per primo avanzò la teoria di un“brodo primordiale”composto da molecole complesse o quella di due studiosi vicini al suo pensiero, StanleyMiller, un giovane laureato dell’Università di Chicago, e il suo professore HaroldUrey, entrambi sostenitori dell’idea che a fornire – letteralmente –la scintilla per l’abiogenesisiano statii fulmini: lescintille elettriche, infatti, possono generareamminoacidi e zuccherida un’atmosfera carica di acqua, metano, ammoniaca e idrogeno, esattamente come quella della Terra 4,5 miliardi di anni fa. Secondo il chimico organico scozzese Alexander Graham Clairns-Smith, invece,la vita sarebbe nata a partire dall’argilla, mentre lateoria del metabolismospiega che gli elementi chimici e i nutrienti atmosferici già presenti sulla Terra abbiano semplicemente continuato a reagire nel tempo,producendo molecole sempre più complessee dando origine alle prime forme di vita. Si potrebbe continuare ancora a lungo elencando teorie e ipotesi – alcune accreditate e scientificamente fondate, altre meno – sull’origine della vita sulla Terra. E, se è vero che il dibattito ancora oggi resta aperto e predisposto ad accogliere idee e progressi sempre nuovi, grazie anche agli sviluppi scientifici e tecnologici di cui disponiamo e che fanno da garanti per la scoperta di una verità fondata e concreta, allora ci hanno pensatoi ricercatori e le ricercatrici del gruppo di ricerca dell’Università di Trentoad aggiungere un tassello a quella che oggi appare la teoria scientifica più accreditata per la genesi della vita sul pianeta Terra: la teoria delle bocche idrotermalidei vulcani sottomarini. Con la ricerca dal titoloHybrid organic–inorganic structures trigger the formation of primitive cell-like compartments, che ha conquistato nelle scorse settimanela copertina di Pnas, il peer reviewed journal della statunitenseNational Academy of Sciences, e mettendo insieme competenze diverse – da quelle biochimiche Silvia Holler, ricercatrice UniTrento e principal investigator dello studio, a quelle di Richard J. G. Löffler, Federica Casiraghi e Martin M. Hanczyc, tutti afferenti al Dipartimento Cibio dell’Università di Trento, passando per quelle in astrobiologia di Stuart Bartlett delCalifornia Institute of Technology, e quelle in geologia di Claro Ignacio Sainz Diaz e Julyan H. E. Cartwright dell’Università di Granada– il gruppo di ricerca è riuscito a fornire un prezioso contributo per indagare le condizioni che circa 4 miliardi di anni fa hanno acceso la scintilla della vita sul nostro pianeta. «Il nostro obiettivo – racconta Silvia Holler – eraesplorare un nuovo percorso per capire come sia iniziata la vita sulla Terra. In particolare, ci interessava approfondire la transizione da un pianeta inorganico e senza vita a un pianeta organico, ricco e vivente». L’ambiente creato per riproporre le condizioni necessarie allo scoccare della vita è quello delle“bocche idrotermali”,sorgenti di acqua calda alimentate dai vulcani sottomarini. Il gruppo di ricerca ha verificato comele strutture inorganiche presenti in un ambiente di questo tipopossano incorporare molecole organiche fino a formare nuove strutture ibride inorganiche-organiche. Queste possono poi a loro volta supportare e promuovere laformazione di membrane primitive simili a cellule, le strutture alla base di ogni essere vivente. «Le prospettive della ricerca – prosegue Holler – sono moltissime. a esempio, potrebbero essere analizzate librerie di composti più ampie rispetto a quelle utilizzate fino a ora, sia per la creazione di strutture inorganiche, sia per quanto riguarda i composti organici che vanno a interagire con esse. Potrebbero inoltre essere testati altri fattori e valutata la stabilità delle protocellule rispetto a variazione di temperatura o di pH.Le applicazioni possibili sono tantee spaziano dalricreare la vita in futuro su altri pianeti,fino all’utilizzo delle protocellule per migliorare l’efficacia e la precisione dei farmaci all’interno del corpo umano. Noi abbiamo aperto la strada, il cammino da percorrere è ancora lungo, ma decisamente promettente».