Barbie e la sua potenza immaginifica

 

L’ultima significativa notizia sul filmBarbieè ilmiliardo e 200.000 dollari d’incasso globale,che incorona la registaGreta Gerwig prima donna nella storia del cinema a ottenere un tale risultatoal botteghino. A quattro settimane dall’uscita nelle sale, questa mi sembra lanotizia più femminista che riguardi la pellicolache, sbandierata dalla promozione come una sorta di manifesto pop delle neo istanze femministe, da questo punto di vista delude le aspettative. Lasceneggiatura, scritta dalla stessa Greta Gerwing in coppia con Noah Baumbach, si sofferma sulla guerra tra sessi,semplificando il pensiero femminista.Non un accenno alle decennali lotte delle donne (che di certo non si sono limitate all’estetica che laBarbierappresenta), ma una messa in scena dello scontro traBarbielandeKendomsviluppato con frequenti dialoghi e monologhi didascalici che tolgono ritmo al film, il quale viene meno anche alla regola aurea del cinema del “rappresentare e non dire”. Invece, le Barbie “dicono” addirittura “dissonanza cognitiva”, restituendoci dal grande schermo un’immagine nitida della deriva della nostra societàche ha abdicato ai temi politici, delegandoli al marketing e albrand activism. La Mattel, che commercializza Barbie dal 1959, è anche co-produttrice della pellicola, il cui successo è senza dubbio il risultato di ungrande piano di marketingda oltre 100 milioni di dollari. L’obiettivo della strategia è ilriposizionamento del brandche vuole appropriarsi dello stesso universo valoriale femminista dal quale era stato criticato in passato, facendo ironica autocritica, mea culpa e infine mostrandosi aperto al cambiamento. Equesta operazione si fa sceneggiatura: la storia della Mattel e della Barbie stessa, in relazione al loro rapporto con la società occidentale, è la traccia del film che comelive action cerca paradossalmente di far dimenticare al pubblico che la protagonista non è che unabambola. Operazione che riesce fino a quando arrivano gli “spiegoni” accennati sopra che, nell’interrompere il ritmo della narrazione, risultano improbabili per un gioco tra bambole, ma soprattutto disorientano nell’individuare il target a cui il film è indirizzato. La spiegazione didascalica è, a tratti, la cifra della pellicola che, durante lo scorrere delle prime immagini, mi ha fatto tornare alla mente una visita di qualche anno fa al Museo dei giocattoli di Praga, ilToy Museum, dove c’è un’ampia e ricca esposizione di Barbie, dai primi modelli, ai pezzi da collezione, fino a quelli a tiratura limitata. È lì che per la prima volta ho visto la bambola del 1959, con ilcostume a righe bianche e neresenza spalline che nel film cita Stanley Kubrick di2001 – Odissea nello spazio,esposta a grandezza umana e doveho scoperto tutte le antesignane della Barbie stereotipo con cui giocavo negli anni ’80. Non ricordo esattamente cosa facessi fare alla mia Barbie, ma ho dei chiari flashback di lei alla guida di modellini Burago da collezione,fidanzata con Big Jim invece che con Ken, ma soprattutto cheabitava in una grande casa di legno a due piani, con quattro stanze e il tetto spiovente, costruita artigianalmente da mio padre, che ingombrava (per la gioia di mia madre!)mezza parete dell’ingresso del nostro appartamento. Ci giocavo insieme a mia sorellae alla sua Skipper, entrambe incuranti che la bambola avesse la sua villa e la sua Corvette brandizzate ma attratte semplicemente dalmondo Barbieche avevamo rielaborato a modo nostro. Era un mondo molto più divertente e pieno di possibilità di quello di Cicciobello, che ci proiettava alla dipendenza dei bisogni del bambolotto. Barbie, al contrario,era libertà di fare esperienze, di desiderare qualsiasi cosa, di pensare che tutto fosse possibile(anche essere perfetta come lei). Sembra banale, ma non lo è: alle donne per secoli non sono state concesse le possibilità e le opportunità di scelta e Barbie è la prima bambola che le fa ipotizzare, confermandola ancora oggiun giocattolo intramontabile per il suo immaginario, nel quale generazioni e generazioni dibambine(ma anche bambini) hanno condiviso una parte della loro infanzia dagli anni ’60 in poi. “Immaginario di sogno” che ha portato al successo mondiale di incassi della pellicola. La strategia di marketing della Mattel, infatti, ha pianificato una serie di azioni che danno forma all’immaginario di Barbie, permettendo alle persone di viverlo o riviverlo, tornando bambini. Due trailer,product placement all’interno del film(dalle Birkenstock ai rollerblade giallo fluo di Impala), decine diaccordi di co-marketingcon marchi di moda (abiti, borse, accessori), di make-up e igiene orale, di home decor, del mondo dei viaggi (vedi il soggiorno nellaBarbie’s Dream Housea Malibù proposto da Airbnb o il Telepass Pink!), del fast-food (il Pink Burger con la salsa rosa di Burger King Brasile), senza dimenticare il web conGoogleche scintilla di rosa per ogni ricerca sulla produzione cinematografica. Accordi di licenzacon Mattel, partnership,prodotti in edizioni limitata, capsule collection, esperienze virtuali e immersive, installazioni, proposte di turismo esperienziale,iniziativee azioni di medio e lungo periodo innescate dalcolore rosa come riferimento visivo simbolico. Il successo della bambola Barbie è nella sua “potenza immaginifica” che, nella campagna di promozione del film, viene declinata in una miriade di contesti corollario alla pellicola. A spingere la maggior parte delle persone aandare a vedere il filmè stata lavoglia di partecipare a un evento- promosso dall’hype, dal buzz marketing sui social fino alle dinamiche del Fomo – in cui il film è la chiave di accesso a un vissuto emotivo nostalgico, leggero e giocoso (vedi il fenomeno “kidult”), ma soprattutto capace di ridestare quella sensazione di possibilità che il mondo di Barbie offriva. Una serie di leve che hanno portato ai numeri da record del box office, che dimostrano anche chenon è vero che il cinema è mortocome alcuni addetti ai lavori sostengono, analizzando sommariamente i dati del botteghino del post-pandemia. Quello che è morto è il modello novecentesco di promozione del cinema, dove bastava una coppia di divi o un regista famoso ad attrarre il pubblico nelle sale. Oggi tutto ciò non è più sufficiente e il filmBarbiein questo senso ha molto da insegnare: motivare le persone a uscire di casa per andare al cinema, preferendolo alle piattaforme, è il grado di coinvolgimento che la pellicola produce.Il pubblico vuole essere co-protagonistadi una esperienza collettiva, possibilmente appagante e straordinaria, che passi dal reale al virtuale, e viceversa, e che assuma tutte le forme possibili di fruizione. Questa la vera influenza mediatica diBarbieche fa pensare che, molto probabilmente, la pellicola avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato commerciale anchesenza farsi pretenziosa portavoce di un femminismo banalizzato, scomodando la rediviva lotta tra maschi e femmine. Lasciateci sognare e giocare con le bambole.

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