Colombia, prima a voler riconoscere lo status di sfollato climatico

Lacrisi climaticaè ormai sulle bocche di molti e la preoccupazione per quanto stiamo facendo al Pianeta aumenta mano a mano che gli impatti si fanno più evidenti e vicini.Alluvioni,ondate di calore,siccitàsono solo alcune delle conseguenze ormai ben visibili e, per quanto molti noi preferiscano continuare a indossare un bel paraocchi, “qui e ora” non è più solo uno slogan ma una verità indiscutibile. Al di là delle conseguenze più note e documentate, ve ne sono altre che incidono trasversalmente su molti settori a livello locale e globale, e sul raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030che abbiamo eletto a manuale d’uso del futuro. Tra queste, la correlazione tra cambiamenti climatici e flussi migratori. Secondo l’International Displacement Monitoring Center(Idmc), nel 2021 sono stati registrati23,7 milioni di sfollati a causa dei disastri naturalidi cui, la maggior parte, legati a condizioni meteorologiche estreme come inondazioni, alluvioni e tempeste che hanno causato, congiuntamente, ben 21,6 milioni di spostamenti all’interno del proprio Paese d’origine. Aree che oggi sono considerate vulnerabili, nel prossimo futuro saranno inabitabili a causa delle condizioni di estrema siccità – con conseguenze a livello di accesso all’acqua o al cibo – o all’innalzamento del livello del mare, provocando spostamenti permanenti a livello locale e internazionale su scala massiccia. Secondo unastimadelle Nazioni Unite,solo lo stress idrico potrebbe provocare 700 milioni di sfollati entro il 2030mentre un rapporto della Banca Mondiale suggerisce cheentro il 2050 potrebbero esserci 216 milioni di migranti climatici interni, a meno che non si adottino misure correttive. Si tratta di cifre superiori alla popolazione di Germania, Francia e Italia messe insieme, che farebbero pensare a una presa di coscienza collettiva a tutti i livelli, da quello istituzionale a quello privato. Ma la realtà è, purtroppo, diversa e a coloro che sono costretti a lasciare le loro case per ragioni ambientali, la Convenzione di Ginevra del 1951 non attribuisce il diritto allo status di rifugiato che, invece, viene assegnato a coloro che sono perseguitati a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche. La Colombia apre la strada al riconoscimento dello status di sfollato climatico.Il Paese è tra gli84 Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climaticia livello globale. L’aumento della temperatura media del paese oscillerà tra 1°C e 3.5°C entro il 2071 con ovvie conseguenze per la popolazione umana e le altre specie. Basti pensare che, secondo le Nazioni Unite, un aumento della temperatura di 3°Cfarà perdere al 41% dei mammiferi metà del proprio habitat. In termini di precipitazioni, inoltre, nel periodo 2011-2100, la regione caraibica e l’Amazzonia registrerannouna diminuzione del precipitazioni del 10-40%, mentre nel centro e nel nord della regione andina si registreranno aumenti compresi tra il 10 e il 30%, con maggiori incrementi nella regione “cafetera” nota per le piantagioni di caffè, nell’Altiplano Cundiboyacense e nell’alto bacino del fiume Cauca. Da qui l’importanza della proposta avanzata da Duvalier Sanchez, membro del Congresso del Partito Verde, autore di unprogetto di leggeche vuole fare della Colombia il primo Paese dell’America Latina a riconoscere ufficialmente, all’interno della propria giurisdizione, gli sfollati climatici e coloro che sono costretti a lasciare la propria regione d’origine a causa del degrado ambientale, assegnando loro diritti e tutele speciali. «Differenziando gli sfollati climatici dai profughi di guerra, il progetto vuole fare della Colombia un Paese pioniere a livello internazionale», spiega Duvalier in un’intervista rilasciata aLa Svolta. Tra le iniziative, anche la creazione di un Registro Unico amministrato dall’Unità Nazionale di Gestione del Rischio e dei Disastri (Ungrd), in cui si identifichino i luoghi e le comunità più vulnerabiliassegnando alle famiglie vittime e alle comunità un riconoscimento speciale. Inoltre, ai bambini verrà assegnata una priorità in ambito educativo e sanitario, così da garantire loro condizioni di vita adeguate al loro benessere psico-fisico». Per quanto in un Paese caratterizzato da profondi squilibri economico-sociali, la categorizzazione giuridica senza un lavoro educativo che coinvolga la cittadinanza, potrebbe causare ulteriori stigmatizzazioni e discriminazioni, la proposta ha il merito di «tracciare una linea di indirizzo che porti, quanto prima, alla definizione di untrattato internazionale che riconosca ai profughi climatici il diritto di asilo», continua Duvalier. Per essere approvata, la proposta deve passare 4 dibattiti. Il primo, tenutosi a novembre davanti alla commissione I della Camera, ha ricevuto parere favorevole all’unanimità. L’attesa è ora per il secondo giudizio della Camera e i due ulteriori al Senato. Un iter che non preoccupa Duvalier, il quale auspica che «il tutto si inserisca in una più ampia volontà di creare una politica pubblica in grado di lavorare seriamente perimplementare strategie di mitigazione e adattamento, e non di intervenire solo in caso di emergenza e a disastro già avvenuto».