Comunità energetiche rinnovabili: ci vuole uno sprint

Comunità energetiche rinnovabili: ci vuole uno sprint

 

L’obiettivo di lungo periodo è sempre il fatidico2050, fissato dalla Ue comeanno della neutralità carbonica.Quello intermedio è il 2030, quando ci si aspetta che il 42,5% del consumo di energia in Europa derivi da fonti rinnovabili. Ma c’è un traguardo a breve raggio, per l’Italia, che potrebbe essere raggiunto già afine giugno: è ilDecreto sulle Comunità Energetiche Rinnovabili(chiamateCer) che il ministero dell’Ambiente ha trasmesso a inizio marzo alla Commissione Europea per alcune valutazioni, e che si prevede si sblocchi proprio a fine mese. Secondo il ministro Pichetto Fratin, grazie a questo decreto potrebbero nascere nel nostro Paesefino a 20.000 nuove Comunità,capaci di unire le forze per produrre, scambiare, consumare energia da fonti rinnovabili su scala locale, sulla spinta dei 2,2 miliardi di incentivi del Pnrr (motivo che ha richiesto un controllo da parte della Commissione). Ma c’è chi stima che leCerpotrebbero lievitare anche a 40.000. L’intervento normativoerogheràcontributi a fondo perdutofino al 40% per sostenere i costi di realizzazione diimpianti nuovio dipotenziarequelli già esistenti nei Comuni fino a 5.000 abitanti; offrirà a chi si associa alla comunità, o darà vita a una nuova, una tariffa incentivante sulla quota di energia condivisa da impianti a fonti rinnovabili; punterà a garantire una potenza complessiva di almeno 5 GW di energia pulita entro il 2027, con un potenziale risparmio di 1,35 milioni di tonnellate di CO2 e un beneficio economico fino a 1,5 miliardi di euro. Le previsioni sono delworking paperdiAgici-Accenturedello scorso maggio, che riporta altri dati interessanti: sulle86 Cer italiane di oggi,solo30 sono effettivamente attive.Per raggiungere il target dei 5 GW di potenza installata (ora siamo a 60 MW) bisognerà accelerare in modo molto spedito, considerando anche che inEuropala situazione è frammentata e leComunità energetiche rinnovabilisono circa 9.000trainate da Germania(che ne ha 5.000), Danimarca (800), Francia (200), Spagna (150). Lo studio ha anche mappato leCeritaliane: la maggior parte hapannelli fotovoltaici (94%)che sono utilizzati come unica tipologia di impianto nel 79% dei casi o in combinazione ad altre fonti rinnovabili (nel 15%). Gli impianti includono a volte dotazioni tecnologiche, in particolare sistemi di accumulo, piattaforme, colonnine di ricarica per auto elettriche, contatori/smart meter. I soggetti più coinvolti nella promozione delleCersono Comuni, energy companies, aziende di consulenza energetica, costruzione, startup. Nel 42% dei casi, le comunità sono promosse da un singolo soggetto (il Comune), in altri casi da un consorzio. Il coinvolgimento delle aziende utilities nella promozione e costituzione di Comunità Energetiche è invece piuttosto scarso (solo nel 22% dei casi). Da iniziative sporadiche di autoconsumo e autoproduzione, le Cer hanno iniziato ad avere una rilevanza giuridica in Italia nel 2018 tramite ladirettiva europeaRed II,recepita dal Decreto Milleproroghe nel febbraio del 2020, permettendo ai consumatori di energia elettrica di associarsi al fine dipromuovere l’uso dell’energia da fonti rinnovabili. La lentezza dell’iter legislativo e burocratico non ne ha favorito il boom, come sottolineato da uno dei maggiori esperti del tema in Italia, l’economista Leonardo Becchetti, in unaintervistaal mensileVitaa fine maggio: «I ritardi della politica stanno facendo da freno e rischiano di non governare un processo che, comunque, cammina. Mentre le autorizzazioni sui grandi impianti arrivano in ritardo e la nascita delle nuove comunità energetiche è bloccata, molti proprietari di appezzamenti ricevono richieste da società che offrono affitti ben remunerati per tappezzare di pannelli le superfici agricole. Ilrischiodella lentezza della politica è unatransizione selvaggia e non regolata».