C’è un tesoro in fondo all’Artico ma vecchi galeoni e fortini pieni di monete scintillanti non c’entrano. Il vero bottino sono38 milioni di tonnellate di rameche giacciono intrappolate nelle sorgenti vulcaniche a 4.000 metri di profondità nelle acque continentali che appartengono alla Norvegia. Insieme ad altrimetalli, minerali e terre rarepreziosissimi usati perprodurre le batterie delle auto elettrichecome il cobalto o come il neodimio e il disprosioutilizzati per i magneti delle turbine eoliche e dei motori. Il governo di Oslo ha annunciato l’intenzione di avviare attività dideep sea miningin un’area oceanica grande quanto la Germania e presenterà un piano in Parlamento nelle prossime settimane, ma si stanno aprendo dei contenziosi sia con altri Paesi europei sia con le associazioni ambientaliste. La Norvegia è già tra i principali esportatori al mondo di petrolio e gase la corsa estrattiva sui fondali profondi aprirebbe un nuovo scenario geoeconomico mettendola in prima linea nella raccolta di materiali fondamentali per le nuove tecnologie green. Secondo le stime della societàRystad Energyquesta nuova attività potrebbe generare fino a 20 miliardi di dollari di entrate annuali per il Paese e creare 20.000 posti di lavoro. Il progetto non è alla fase iniziale e l’annuncio arriva dopo tre anni di spedizioni da parte delNorwegian Petroleum Directorateche ha “scovato” nelle profondità marine depositi enormi di rame, zinco, cobalto e anche litio, oro e argento. L’area mappata si trova lungo la dorsale medio atlantica tra l’isola di Jan Mayen e l’arcipelago delle Svalbard nel Mare di Norvegia. È su questa zona che, però, si concentrano le dispute politiche: la Norvegia sostiene di avere diritti esclusivi di estrazione su un’area più ampia rispetto a quella di Russia, Regno Unito e Unione europea, che in base al Trattato delle Svalbard sono liberi di operare nelle stesse zone oceaniche. IntervistatodalFinancial Times, il segretario di Stato presso il Ministero del Petrolio e dell’Energia Amund Vik ha dichiarato che l’estrazione in acque profonde aiuterebbe l’Europa a soddisfare il «disperato bisogno di più minerali, materiali di terre rare per realizzare la transizione». E ha assicurato che il governo adotterà misure precauzionali per risolvere le questioni che hanno portato l’agenzia norvegese per l’ambiente a bocciare il Piano, perchénon ha fornito sufficienti dati sulla sostenibilità delle estrazioni e sulla protezione dell’habitat marino. A opporsi al progetto ancheGreenpeace, che nel dettagliatorapportointitolatoDeep Troubleriportava già nel 2020 i possibili e irreversibili danni all’ecosistema marino, proponendo un trattato globale per creare santuari oceanici in tutto il mondo liberi da attività dannose: a marzo è stato approvato dall’Onu e ora ilconcordatodovrà essere condiviso dagli Stati membri. Lo scorso 8 giorno un altro netto no è arrivato anche dalConsiglio consultivo scientifico delle accademie europee(Easac). Secondo gli esperti del gruppo composto da 28 accademie scientifiche nazionali tra le quali la Norvegia, non sarebbe necessario recuperare i minerali dai fondali marini per passare alle tecnologie rinnovabili esi potrebbe puntare su altre fonti. «La narrazione che l’estrazione di acque profonde è essenziale per raggiungere i nostri obiettivi climatici e quindi una tecnologia verde è fuorviante», ha detto Michael Norton, direttore ambientale Easac. Non ultima a essere preoccupata l’Associazione norvegese dei pescatoriper lepossibili contaminazioni nel loro pescatoe l’inquinamento che si potrebbe produrre durante le fasi estrattive. Per il governo di Oslo il pericolo sarebbe invece ridotto data la limitata attività di pesca in quell’area “glaciale” dell’oceano.
Lascia un commento