Chi fa affari con le cause climatiche?

A gennaio,ilGuardianspiegavaperchéil 2023 sarebbe stato l’anno decisivo per le battaglie legali conto igrandi inquinatori del mondo.Le “climate litigation”, i contenziosi climatici contro Governi, multinazionali e società private si stanno infatti moltiplicando in tutto il Pianeta, non ultimo in Italia. Greenpeace, ReCommone 12 cittadini residenti in zone colpite dalla crisi ecologica lo scorso maggio hanno citatoEni, il ministero dell’Economia e la Cassa depositi e prestiti (in quanto azionisti) perché le attività globali dellamultinazionale“emettono in un annopiù gas climalteranti dell’intera Italia”. L’iniziativa legale, chiamataLa giusta causa, è stata depositata al Tribunale di Roma, che dovrà ora accertare anche la violazione dei diritti umani e alla salute dei cittadini. La crescita dei movimenti digiustizia climatica,se da una parte mette come mai prima una pressione su Stati e aziende per mitigare le emissioni e assumersi le responsabilità delle inazioni politiche (o delle leggi che danneggiano l’ambiente), dall’altra sta alimentando unbusinessmolto, molto redditizio. Lo sottolinea lanuova inchiestadelFinancial timesche ha cercato di fare luce sul crescenteinteresse dei cosiddetti “finanziatori di controversie”(olitigation financers) che puntano a guadagnare sulle richieste di risarcimento legate al clima o a incidenti ambientali di grandi portata. Un esempio? La societàHarbour Litigation Fundingha spesopiù di 17 milioni di sterline per finanziareuna causa intentata da 15.000 agricoltori indonesiani contro laPttep Australasia:nel 2009 uno dei suoi pozzi petroliferi ha riversato per 2 mesi greggio nel mare di Timor, provocando la morte della fauna marina e delle alghe che davano da vivere a migliaia di coltivatori. Nel 2022 la vittoria: su 102 milioni di sterline di risarcimento,43 milioni sono andati al fondo. Secondo il quotidiano,“il panorama legale americano è molto adatto a questo tipo di casi perchéi risarcimenti possono raggiungere cifre miliardariee la parte perdente non copre le spese legali del vincitore” (in base al sistemano win – no fee). Trovati i capitali, i finanziatori gestiscono quindi un portafoglio di “battaglie” e hanno la capacità per coprire le spese legali e le perizie che ai comuni cittadini o alle associazioni no profit costerebbero una cifra enorme. In cambio, la loro percentuale di guadagno in caso di vincita della causa si aggira in media sul 25%. La natura etica di questo tipo di operazioni finanziarie, però, non è garantita come invece accade nel caso dei grandi investitori filantropici sostenuti da gruppi ambientalisti, donazioni, crowdfunding. Il rischio è chele cause vengano scelte più per la loro probabilità di vittoriao in base all’entità del risarcimento e meno per il loro impatto sul Pianeta. Ilitigation financerssono finiti non a caso nel mirino della Ue, che sta valutando di regolamentare almeno la quota di interessi maturati sul risarcimento, e sono invisi ovviamente alle organizzazioni ambientaliste no profit che preferiscono agire contro le multinazionali in modo diversificato. Per esempio, cercando diboicottare i progetti altamente inquinanti acquistando quote delle societàche vogliono costruire centrali fossili, come accaduto in Polonia. Qui la OngClientEarthsi è battuta per impedire la costruzione di una centrale elettrica a carbone, laOstroleka Power Station, comprando azioni da 20 euro della società che doveva realizzare l’impianto e facendo pressioni sul Governo affinché non finanziasse il progetto. Il risultato? Lo stop dei finanziamenti. Ma c’è anche chi, come ungruppo di donne svizzereanzianechiamateKlimatseniorinnen, grazie a una denuncia sostenuta da un team di avvocati ambientalisti diGreenpeacelo scorso marzo è riuscito ad arrivare allaCorte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. La Corte entro il 2023 emanerà un verdetto pervalutare in che misura la Svizzera stia violando i diritti umaniper non aver intrapreso azioni significative aprotezione del clima. Magari non otterranno grandi risarcimenti, ma una vittoria morale e legislativa si spera di sì.