Latte: quale sarà il suo futuro?

Latte: quale sarà il suo futuro?

 

Un macchinario raccoglie il fieno essiccato naturalmente da una grande vasca e lo posiziona davanti agli stalli. Qualchevacca, soprattutto frisone– cioè quelle a chiazze nere e bianche che produconolatte– si avvicina per mangiare. Altre invece rimangono accoccolate sulla paglia, vanno verso l’apparecchio per la mungitura o si incamminano pigre sul terrazzo. Siamo a Soprabolzano, una frazione di Renon, inTrentino Alto Adige.È una giornata piovosa, il massiccio dello Sciliar delleDolomitiè coperto dalle nuvole e nella prateria adiacente all’allevamento ci sono solo degli esemplari troppo piccoli per essere portati nelle malghe di alta montagna. In tutto sonoquaranta. Quando c’è il sole e «non rischiano di scivolare», tutti pascolano fuori. Erich Hoheneggerfa l’allevatore da sempre, ma in modo diverso da suo padre e suo nonno. Sul tetto del suo maso, ilLichtensternhof, sta installando deipannelli solarie controlla l’alimentazione e la salute delle sue vacche tramite un sistema dimicrochip. «Produrre illatte biologico(circa 30-35 litriper capo al giorno) con il fieno, senza Ogm, è costoso e difficile – racconta, accarezzando uno degli animali sul muso. – Bisogna dosare bene il mangime e il fieno» e garantire degli standard sulbenessere degli animali. L’investimento però sembra pagare: «Chiamiamo molto meno il veterinario e facciamo unprodotto di alta qualità». Da alcuni anni Erich collabora con ilconsorzio di Brimi, uno dei più grandi del Trentino Alto Adige. Illattee il siero, venduto da lui e dagli altri allevatori alpini, si trasformano, all’interno dell’impiantoDolomites Milkdi Vandoies/Vintl, increme per i wafer e basi di altri dolciumi, grazie a un accordo con il noto marchioLoacker. Come per le filiere di cacao, vaniglia e nocciola, il tentativo, dal 2019, è quello di recuperare la tradizione locali, per garantire all’azienda unapprovvigionamento sostenibile. Per questo, le stalle dei collaboratori hanno in media 15 capi e 8 vitelli e aderiscono alProgetto Protezione Animalidell’Alto Adige (Tierschutzprojekts Südtirol), in collaborazione con il gruppo di lavoro indipendente per le scienze zootecniche presso la Facoltà di Scienze e Tecnologie dell’Università di Bolzanoe dall’associazione lattiero-casearia dell’Alto AdigeTemi. Non è facile sfuggire alle polemiche.Il settore lattiero – caseario italiano, pur appartenendo al patrimonio storico dell’Italia, presentadiverse criticitàlegate altrattamento degli animali e alla sua impronta ecologica. Nelle grandi aziende zootecniche, concentinaia di capi, è difficile monitorare le forniture idriche, l’uso delle aree di riposo, la condizione fisica, le distanze, i danni alla pelle, la sporcizia, lo stato degli zoccoli, le zoppie, il comportamento in piedi e i pericoli, dovuti ai tassi di natalità delle vacche. Allo stesso tempoi grandiallevamenti intensivisono molto inquinanti.Secondo una stima dell’European Data Journalism network, rete di giornalismo datadriven,il27,78%delle emissioni legate al cibo derivano da latte e formaggi.Una fetta più piccola del57,23%rappresentato da carne e uova, ma comunque molto superiore al2.85%di frutta e verdura. Solo dalla catena del valore del formaggio dipendono 21,2 Kg di CO2. Unostudio, condotto nel 2018 dall’Università di Oxford, ha dimostrato cheun bicchiere di latte vaccino o caprino produce una quantità di CO2 tripla rispetto agli equivalenti vegetali, pari a1,14 Kg in Australia o 2,50 in Africa. Per fare un confronto, il latte di mandorla ha in media un potenziale di 0,42 e quello di soia di 0,75. Quelle Una quota consistente delle emissioni è dovuta allaconversione del suolo in terreno destinato al pascolo.Anche leflatulenzee igas di eruttazione dei ruminantisono poi responsabili della produzione delmetano, uno dei gas più impattanti sul riscaldamento globale. Inoltre, secondo ilWwf, dal settore del cibo dipendel’89% dell’impronta idrica totale giornaliera degli italiani.Questo dato comprende sia il consumo di acqua per coltivare il foraggio per gli animali,sia le lavorazioni di carne, uova e latte. In quale modo quindi è possibileabbattere l’impatto ecologico del latte? In alcuni laboratori, si sta sperimentando lacoltivazione sintetica di questo prodotto. In maniera analoga al procedimento della carne, si tratta di un processo di fermentazione, nel quale dei microrganismi vengono convertiti in produttori delle proteine del latte. Questo metodo sta diventando sempre più popolare, ma rimane chi come, Brimi e Loacker, preferisce affidarsi alla tradizione. Infatti anche la gestione di pochi capi e “un’adozione più ampia delle migliori pratiche e tecnologie esistentiin materia di alimentazione, salute, allevamento e gestione del letame, nonchéun maggiore uso di tecnologie migliorate, – afferma un report del 2013 della Fao sul percorso verso gli obiettividell’Agenda 2030dell’Onu – può aiutare ilsettore zootecnicomondiale aridurre le proprie emissioni di gas serra addirittura del 30%.”