Oceano Pacifico: scoperte 5.000 nuove specie (già in pericolo)

Negli abissi dell’Oceano Pacifico, a centinaia di miglia di profondità, si nascondono un tesoro prezioso per latransizioneenergeticae una ricchezza inestimabile dibiodiversitàmarinadi cui nessuno è stato a conoscenza finora. Siamo nellaClarion-Clipperton Zone(Ccz), una vasta area del Pacifico situatatra la costa dellaCaliforniae leHawaiie grande 2 volte l’India, finita nell’occhio del ciclone per essere unpotenziale hotspot minerario: nei suoi fondali, infatti, si nascondono le più ricche aree didepositi di noduli polimetallici,che contengono manganese e altri metalli, come il cobalto, il rame e il nichel, fondamentali per la produzione di veicoli elettrici, batterie ed elementi chiave per il futuro di un’economia a basse emissioni di carbonio in ottica di transizione energetica. Una notizia certamente straordinaria per i17 appaltatori minerariinteressati allaCczche già fanno pressione sull’International Seabed Authority(Isa), l’autorità che regola lo sfruttamento dei fondali oceanici e che, dopo attente valutazioni di rischi e pericoli, dovrà esprimersi a luglio circa la possibilità diconcedere o meno il via liberaa quello che è tecnicamente noto comedeep sea miningo, più semplicemente, sfruttamento delle aree sottomarine per l’estrazione mineraria. Ma in quella che sembra essere una corsa contro un tempo che sta per scadere, scienziati, biologi, ambientalisti e ricercatori provano a portare sui piatti della bilanciapro e contro dell’attività estrattiva:quelle che sono emerse finora sono prove che ci dicono che non conosciamo ancora cosa nascondono gli abissi dell’Oceano e non possiamo concederci il lusso diintaccare aree del Pianeta inesploratee sconosciute per meri fini economici. La prova più schiacciante è lo studio pubblicato sulla rivistaCurrent Biologye condotto dalNatural History Museumdi Londra, dallaUniversity of Yorke dalNational OceanographyCentredi Southampton,in cui vengono descritti i risultati delprimo censimento delle specie viventi nellaClarion-Clipperton Zone. Attraverso tecniche di campionamentomolto sofisticate (come veicoli telecomandati o scatole di campionamento sottomarine create per raccogliere le specie dai fondali e portarle in superficie per essere studiate) i ricercatori dello studioHow many metazoan species live in the world’s largest mineral exploration region?hanno rilevato lapresenza di oltre 100.000 esemplarimarini nella zona.Di questi, la maggior parte risultava già registrata e nominata a livello scientifico, mentrepiù di5.000 esemplari risultavano totalmente ignoti. Negli abissi del Pacifico, dunque, lì dove 17 aziende sono pronte a trivellare, a quanto parevivono 5.572 specie la cui esistenza non è mai stata documentataprima e anche 6 esemplari (tra cui un cetriolo di mare, un nematode e una spugna carnivora) che sono stati avvistati anche altrove ma che, al momento, restano non scientificamente identificati. Vista laterale dell’Amperima, nella Ccz Crinoidea, animale marino La bocca di un Hymenaster, un tipo di stella melmosa degli abissi Un riccio, che è un Echinoderm, un Phylum di animali invertebrati marini che comprende anche le spugne «Ci sonospecie straordinarielaggiù. Alcune spugne sembrano le classiche spugne da bagno, altre sembrano vasi. Sono semplicemente bellissime -ha rivelato Muriel Rabone, una degli autori dello studio- Una delle mie preferite sono le spugne di vetro. Hanno queste piccole spine e, al microscopio, sembrano piccoli lampadari o piccole sculture». Uno degli animali scoperti è stato soprannominato lo “scoiattolo gommoso”, a causa della sua enorme coda e dell’aspetto gelatinoso, mentre un altro ha preso il nome di“polpo Casper”ed è un cefalopode dagli occhi piccoli, dalle braccia tozze e con un aspetto spettrale che lo rende simile al celebre fantasma dei cartoni animati. «È un ambiente sorprendentemente ad alta diversità»ha dichiarato Adrian G. Glover,uno dei co-autori dello studio. È proprio l’enorme varietà di specie ed esemplariche popolano laCcz,venute alla luce solo oggi, che spaventa gli appaltatori minerari e mette in guardia le autorità che avranno il compito e la responsabilità, tra poche settimane, di concedere il via libera aldeep sea mining. Da una parte, i sostenitori dell’estrazione mineraria marinasostengono che si tratti di un’attività che comporta meno compromessi etici rispetto all’estrazione terrestre perché nelle profondità dell’oceanonon ci sono comunitàindigeneda trasferire, nessun lavoro minorileda sfruttare enessuna foresta pluvialeda radere al suolo. L’alternativa è sfruttare le risorse dell’Indonesia, principale paese produttore di nichel e ricca di foreste pluviali. Dall’altra, gli scienziati e i ricercatori avvertono che «la prospettiva di attività di estrazione mineraria va messain pausa almeno fino a quando non saranno state ottenute informazioni scientifiche solide e sufficienti».Avviare le attività significa sconvolgere ecosistemi e mettere in pericolo specie animali appena conosciute e di cui non sappiamo ancora nulla. Molte di loro trovano rifugio nei noduli stessi, altre in quell’ambiente così indisturbato e profondo hanno trovato l’habitat perfetto per la sopravvivenza. «Si sa troppo poco su come l’estrazione mineraria possa danneggiare la pesca, rilasciare carbonio immagazzinato nel fondo marino o depositare pennacchi di sedimenti nell’acqua. I vecchi siti di test minerari sottomarini mostrano pochi segni di ripresa ecologica», hanno dichiarato oltre 700 scienziati di scienze marine e politiche. Nonostante le rassicurazioni delle grandi industrie riguardo l’utilizzo ditecnologie sofisticate e di ultima generazione, capaci di garantire il minor sedimento possibile, l’attività estrattiva non potrà mai rivelarsi a impatto zero sugli ecosistemi. E finché si parlerà di minimizzazione dell’impatto globale, si dovrà considerare la prospettiva di un giorno zero e del suo punto di non ritorno. Così, se tutto dovesse andare nel verso sbagliato e l’Isadovesse concedere agli appaltatori la possibilità di iniziare le operazioni di estrazioni degli importanti minerali, laMetal Companyprevede diiniziare i lavori entro la fine del 2024 o l’inizio del 2025. Un tempo troppo vicino per assicurarsi la totale sicurezza degli ecosistemi oceanici e delle specie appena scoperte e che già sono in pericolo diestinzione.