Tu inquini, io mi dimetto

 

Cosa comprare e mangiare, dove abitare, come spostarsi, quali progetti sostenere sono scelte importantissime per chi vuolevivere in modo più sostenibilee rispettoso dell’ambiente. C’è chi però non si accontenta: sono iclimate quitters,persone che lasciano o rifiutano determinati impieghi con l’obiettivo di ridurre il proprioimpatto ambientale. Illavoroè necessario.Lavoriamo per pagare le bollette e il mutuo, per mettere cibo sulla tavola, per mandare a scuola i figli, andare in vacanza e pagare l’abbonamento al cinema. Ma non solo. Lavoriamo anche per sentirci utili e realizzati. Il lavoro nobilita l’essere umano, disse qualcuno una volta,ma come ci si può sentire nobilitati e realizzati offrendo le proprie energie(per quanto a fronte di uno stipendio, più o meno dignitoso)ad aziende cheoperano in senso contrario ai valori nei quali si crede e cheaccumulano profitti a scapito del Pianeta? Passiamo 8 ore al giorno (quando va bene) a lavorare, per un totale del 15% della nostra intera esistenza. Se ci fermiamo a pensare è tantissimo tempo. Non è quindi strano che sempre più persone decidano di licenziarsi da posizioni lavorative pur vantaggiose dal punto di vista economico per offrire il proprio lavoro ad aziende in linea con i propri valori. Anche per uno stipendio più basso.Meglio guadagnare meno ma essere a posto con la coscienza. Il fenomeno delclimate quittingsi inscrive in quello più ampio dellegrandi dimissioni, esploso dopo la pandemia, e riguarda molti ambiti.Non solo le multinazionali energeticheche lavorano con gas e petrolio, ma anche istituti finanziari che investono nei combustibili fossili e il settore della moda e dell’abbigliamento, uno dei più inquinanti al mondo. Perun’indaginecondotta da KPMG nel Regno Unito,il 46% dei lavoratori e delle lavoratrici intervistate ha affermato che vorrebbe che l’aziendaper cui lavoradimostrasse una maggior adesione ai criteri ESG(Environmental, Social and Corporate Governance) mentre il 20% di aver rifiutato un lavoro non in linea con i valori personali. Tra coloro che danno unpeso maggioreall’impegno ambientale del datore di lavoro ci sono igiovani tra i 25 e i 34 anni(il 55% ha dichiarato di tenerne conto), seguiti dalla fascia 18 – 24 anni (51%) e dalla 35 – 44 (48%). In Italia il 65% degli under 30 ritiene che sia importante fare un lavoro che abbia un impatto positivo sulla societàe l’11% di chi ha cambiato lavoro nell’ultimo periodo, o si accinge a farlo, è mosso da motivazioni ambientali. Questa tendenza ha iniziato a modificare il mercato del lavoroe una strategia di marketing efficace nel mostrare il proprio impegno per la sostenibilità è ora più che mai importante per le aziende, non solo per attrarre nuovi clienti ma anche nuovi candidati per posizioni lavorative. Alcune imprese si sono già mossein questo senso,adottando politiche interne greencome l’offerta di metodi alternativi di spostamento per i e le dipendenti e la diminuzione dell’offerta di carne nelle mense aziendali; o combattendo attivamente lo spreco di energia, favorendo la raccolta differenziata o richiedendo la certificazione comeB-corp. Se da un lato è un’ottima notizia che sempre più persone vogliano passare a impieghi più green, dall’altroaumenta anche la richiesta da parte delle aziende che però non sempre riescono a trovare personale per le nuove posizioniche la transizione green richiede. Unaricercadi Linkedin ha reso noto chele offerte di lavori green aumentano a un ritmo maggiore rispetto ai candidaticon competenze adeguate. Secondo il social network è sempre più necessario investire nella formazione per preparare le persone a ricoprire ruoli nuovi come quelli di manager della sostenibilità, tecnico delle turbine a vento, consulente solare ed ecologista, anche perché la richiesta per questi posti di lavoro continuerà ad aumentare. SecondoConfindustrianel 2026 saranno 4 milioni i posti di lavoro che richiederanno una competenza ambientalementre l’Organizzazione Internazionale del Lavorostima che entro il 2030 50 milioni di persone saranno impiegate nel settore delle rinnovabili. Per contribuire a un futuro più sostenibile non è però necessario diventare tecnici green, anche la semplice scelta del posto di lavoro e a chi e a cosa dedicare le proprie energie e competenze può essere molto importante. Ilclimate quittingè sicuramente unfenomeno cheriguarda il mondo del lavoro, ma più in generaletocca la coscienza collettiva. Oggi è evidente che per sempre più persone lo stipendio non sia più un criterio sufficiente per la scelta dell’impiego. Se la pandemia ci ha insegnato qualcosa è che non ha senso fare carriera e avere successo se poi quel successo ci schiaccia e contribuisce a distruggere il Pianeta. Non ne vale la pena, neanche per tutti i soldi del mondo perché, come cantava Bob Dylan, “All the money you made will never buy back your soul”.