Il mare è la nuova frontiera economica

Il mare è la nuova frontiera economica

 

Lablue-economyrappresenta un grande potenziale volto a stimolare la crescita economica, l’occupazione e l’innovazione tecnologica; inoltre, essa è considerata come un modello indispensabile per far fronte alle sfide e ai cambiamenti globali con cui le future generazioni dovranno confrontarsi. Secondo le aspettative dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’economia legata agli oceanidovrebbe raddoppiare entro il 2030rispetto al 2010. L’inquinamento e i fenomeni climatici sempre più estremi sono solo alcune delle problematiche che colpiscono il settore produttivo marittimo. Nello specifico, gli oceani assorbono circa il 25% delle emissioni di CO2 antropiche, che determinano l’acidificazione delle acque e la diminuzione della biodiversità marina. Immancabile negli oceani la presenza di microplastiche e di residui chimici, provenienti dagli scarichi delle acque reflue dell’agricoltura e dai corsi d’acqua terrestre, che contribuiscono ad aggravare lo stato di salute degli oceani e a frenare l’attività economica a essi legata. Per sopperire a queste difficoltà, l’Isa(l’International Seabed Authority) e diversi progetti europei delineano l’obiettivo generale di spingere verso una transizione giusta e inclusiva, fornendo innovazioni tecnologiche per uno sviluppo economico sostenibile e resiliente. Dati alla mano, l’Ocseattesta cheil prodotto economico dell’oceano è stato pari a 1,5 miliardi di dollari, equivalenti al 2,5 % del valore aggiunto lordo mondiale (Gva) con le estrazioni petrolifere e di gas offshore che ammontavano a 1/3 del totale. Le proiezioni per il 2030, attuate in una prospettivabusiness-as-usual, stimano un incremento della blue-economy sul valore aggiunto, il qualeraddoppierebbe le cifre del 2010 raggiungendo i 3 miliardi di dollari, ma anche del livello occupazionale cheincrementerebbe di 10 milioni di posti rispetto ai 30 milioni del 2010. Questa crescita così rapida è/sarà da attribuire allo sviluppo delle tecnologie nella produzione dienergia eolica offshore, l’acquacoltura marina e le attività portuali. Il segretario generale dell’International Seabed Authority, Michael W. Lodge, durante un incontro presso la sede dellaFondazione Leonardo, evidenzia la mancanza di una normativa condivisa a livello internazionale sullo sfruttamento delle risorse minerarie presenti nei fondali marini. «Allo stato attuale – continua Michael W.Lodge – abbiamo una trentina di progetti di esplorazione e mappatura dei fondali attivi in tutto il mondo, da noi coordinati», cinque di essi sono finanziati dalla Cina, tre dalla Russia e altri sostenuti da Germania, India, Francia e Regno Unito. Dichiarazioni che sembrano presagire una corsa all’oro oceanico perl’estrazione di noduli polimetallici e di materie primecome manganese, cobalto, nichel presenti nei fondali oceanici. L’Italia, da quanto dichiara Lodge, è tra i Paesi europei non ancora coinvolti nella sponsorizzazione; nonostante ciò, il Ministero delle imprese e del Made in Italy ha stanziato 10 milioni di euro con risorse Pnrr alle imprese che aderiranno all’iniziativa europeaSustainable Blue Economy Partnership(Sbep). Sbep è un piano di investimento europeo co-finanziato di 450 milioni di euro di durata settennale del programmaHorizon Europecon lo scopo di allineare i programmi di investimento in ricerca di 25 Stati membri per uno sviluppo della blue-economy nei bacini del Mar Mediterraneo, Nero, Baltico, del Nord e dell’Oceano Atlantico. Il progetto ha come obiettivo la mappatura dei mari e dei fondali che, con l’aiuto dell’AI, permette una migliore pianificazione e sorveglianza dello spazio marittimo; inoltre, si concentra sullo sviluppo di strutture offshore multi-uso per settori chiave come i trasporti e l’industria energetica al fine di apportare una crescita economica sostenibile.