Le discriminazioni si combattono (anche) con le parole

Accantonare ilprivilegio biancoe parlare diblack bodiessenza commettere errori non è semplice: la scelta delle parole, del tono, addirittura del ritmo del discorso diventano fondamentali. Questa difficoltà, però, è nulla se paragonata a quella affrontata da grandi persone che nella storia hanno avuto la forza, il genio e la tenacia percombattere le discriminazioni.Il mondo dello spettacolo, dello sport e dell’arte sono stati spesso contesti in cui, grazie all’espressione di un talento, si prova a fare la resistenza e, talvolta, larivoluzione. Un esempio fra tanti èJoséphine Baker,artista innovativa ma anchespirito liberoche ha saputo costruirsi quella libertà necessaria proprio a far crescere le sue capacità.Comicità, ironia e dedizionesono solo alcune delle caratteristiche che ci ricordano che Joséphine Baker è stata unapioniera nello spettacolo e nell’intrattenimento,ma anchesimbolo della lotta per idiritti civilie umani. Erano gli anni ‘20 in America: troppo presto per voler far spettacolo, troppo presto per spogliarsi davanti a un pubblico, troppo presto per essere libera di sedurre uomini bianchi attraverso, anche, il proprio corpo.Troppo per una donna e per unadonnanera, ma lei lo ha fatto eha fatto anche di più. Baker, infatti, ha voluto sempre di più. Cercava dicontribuire alla costruzione di un mondo,di un pubblico migliore,più aperto e inclusivo in un momento storico in cui questa parola non andava così tanto di moda. Ha costruito anche una famiglia che oggi verrebbe definita arcobaleno: ha infatti adottato 12 bambini da tutto il mondo e nei suoi primi contratti ha imposto clausole di non discriminazione per il suo pubblico. Erano gli anni ‘20; ma ancora di strada ne dobbiamo fare:non sono bastate le varie Joséphine Baker e le lotte sociali portate avanti fino a ora. Oggi un ragazzo nero con il cappuccio della felpa indossato che cammina per la strada può diventare, senza motivi apparenti, un bersaglio delle istituzioni che dovrebbero proteggere e garantire l’ordine e la giustizia. O ancora:il corpo delle ragazze e dei ragazzi neri non è rappresentato a sufficienza in ambienti che dovrebbero essere inclusivi e sicuri.Quante volte poi, nelle nostre conversazioni, capita di sentire espressioni sessiste, giudicanti, capaci di oggettivizzare i corpi delle persone Bipoc, portandosi dietro concetti, più o meno nascosti tra le righe, propri di unaconcezione colonialistica della società. Ancora oggi all’interno delle istituzioninon c’è tutelae regna, a volte, ladiscriminazione, spesso anche in modo tristemente palese. Equando il pregiudizio dilaga, nessuno è escluso.Eccellenze del mondo dello sport come LeBron James e Kobe Bryant hanno da sempre manifestato contro le politiche divisive e le condizioni di violenza che molte persone erano (e sono ancora) costrette a sopportare. DalBlack Powerdella fine degli anni ’60 al più recenteBlack Lives Matter, losportcome forma espressiva e, quindi, specchio della società si è sempreschierato dalla parte di chi cerca il riconoscimentodi quei diritti che dovrebbero essere i pilastri di qualsiasi contesto umano. Questo quindi cosa significa? Per chi è bianco o bianca e cresciuto/a in una società fortemente occidentalizzata è probabile (forse quasi certo) che almeno una volta sia capitato di pronunciare frasi in cui lepersone nerevenisseroipersessualizzate, stereotipate, oggettivizzatee tutto questo probabilmente senza rendersene conto. Cosa possiamo fare per recuperare e decolonizzare il nostro linguaggio?La risposta come spesso accade passa dall’aprire la mente e dalla capacità diascoltare,osservareeconoscereorizzonti alternativi. Analizzare coscientemente e scegliere dicambiare le nostre parolediventa un atto di attivismo e resistenza, ma non solo: è anche un modo per mostrare piùrispettoa chiunque ci circondi. Ribaltare glistereotipi, ripartire dall’opposto,distruggere per ricreare.