Come sta la salute mentale materna?

Non c’è salute senza salute mentale. LaGiornata Mondiale della Salute Mentale Materna 2023, che quest’anno si celebra il 3 maggio, ricorre dal 2016 ogni primo mercoledì del mese di maggio, tra la “Festa della Mamma” e la settimana della Salute Mentale. Eppure, non è ancora stata riconosciuta ufficialmente dall’Organizzazione Mondiale della Salute: per fare in modo che lo sia, e per sensibilizzare le persone sul tema, l’organizzazione no-profitWorld Maternal Mental Healthproponeuna petizionerivolta all’Oms e alle Nazioni Unite. Nel mondo, secondo le stime diWMMH,1 donna su 5 soffre di qualche tipo di disturbo perinatale dell’umore e dell’ansiae7 su 10 nascondono o minimizzano i propri sintomia causa della vergogna o del tabù. Le statistiche variano da Paese a Paese, ma si tratta di una problematica globale. Le donne di ogni cultura, età, livello di reddito ed etnia possono sviluppare disturbi dell’umore e dell’ansia che includono depressione, ansia, disturbo ossessivo compulsivo, bipolarismo e psicosi post-partum. Per esempio, dopo la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti nel casoDobbs v. Jackson Women’s Health Organizationa giugno 2022, le donne statunitensi stanno affrontando una crisi dei diritti umani senza precedenti. Ildivieto di aborto, tra le altre cose, può mettere in pericolo la salute mentale delle donne e aumentare il rischio di suicidio. Anche laviolenza ostetricapuò avere gravi ripercussioni sulla salute non solo fisica, ma pure psichica, della mamma e del bambino. Questa forma di abuso spesso ignorata e normalizzata è diffusa in moltissime strutture sanitarie in cuinon vengono rispettatele esortazioni dell’Omssulle modalità di assistenza al travaglio, al parto e al post partum,mavengono seguitiprotocolli interni spesso obsoleti, che “mettono in atto un’assistenza standardizzata, meccanica, aggressiva e irrispettosa delle volontà e dei diritti delle madri”. Lo spiega il servizio di psicologia onlineUnobravo:un’esperienza negativa in una fase così delicatacome il periodo gravidico e post-natale può lasciare un segno profondo nel benessere emotivo della donna.La DottoressaValeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director diUnobravo, definiscefondamentale «promuovere una cultura della nascita più consapevole, rispettosa e pensata per le esigenze di ciascuna donna». Se, da una parte, «la medicalizzazione e i protocolli sanitari hanno contribuito a ridurre l’incidenza di complicanze (l’Italia ha una percentuale di mortalità e morbilità materna e neonatale tra le più basse in Europa,ndr), dall’altro, iscrivere il parto all’interno di una routine standardizzata rischia di svuotare un evento tanto straordinario della sua unicità e del suo senso più profondo». La disumanizzazione del parto, spesso, è una diretta conseguenza della carenza di personale medico e infermieristico, un problema non soloitalianoa giudicare dalle proteste e dagliscioperi senza precedentidel personale sanitario di tutta Europa. Quando le donne entrano come pazienti in ospedale, “smettono di essere considerate come individui e vengono sottoposte a procedure standard, a volte invasive, innecessarie o, persino, dannose”, spiegaUnobravo. Laviolenza ostetrica,spiegaSave the Children, si manifesta nell’eccesso di interventi medici, nella prestazione di cure e farmaci senza consenso o la mancanza di rispetto del corpo femminile e per la libertà di scelta su di esso”. Costituisce, sottolinea Perris, «una violazione dei diritti sessuali e riproduttivi e un grave rischio per l’integrità fisica e mentale della donna». Non tutti sanno chela prima legge che definisce la violenza ostetricacome un reato arriva dall’America Latina,nel 2007, con laLey Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violenciadel Venezuela:«Dal Venezuela, il concetto di violenza ostetrica si è poi diffuso nel resto del mondo, tanto da indurre l’Oms a stilare un documento ufficiale nel 2014 dal titoloLa prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere», da cui emerge che sono le donne «più giovani, nubili, affette da Hiv o appartenenti a contesti socioeconomici svantaggiati a vivere questo genere di esperienze all’interno delle strutture ospedaliere». In Italia, «a portare per la prima volta il tema della violenza ostetrica all’attenzione del pubblico e dei media è stata la campagna social del 2016#BastaTacere – le madri hanno voce». Una battaglia che quest’anno è stata rilanciata dalmanifesto#Ancheame, che mette a disposizioneuno spazio sicuro e anonimoper parlare della violenza ostetrica e ginecologica subita e diffondere consapevolezza sul tema. Un fenomeno molto più diffuso di quanto non si pensi, secondola prima indaginedel 2017 commissionata aDoxadaOVOItalia: il 21% delle intervistate ha dichiarato di aver subito abusi o violenze nel corso della prima esperienza di parto e oltre 4 donne su 10 sono state vittima di pratiche lesive per la propria dignità psicofisica. Le conseguenze? «Fino all’85% delle mamme esperisce una forma leggera e temporanea di depressione ansiosa chiamatamaternity blues. Altre conoscono, invece, ladepressione post partum, una condizione più grave, ma meno frequente, sebbene possa arrivare a interessare fino a 1 donna su 5», spiega la dottoressa Perris. È fondamentale «chesi crei una coscienza diffusa del fenomeno», facendo sì che «le donne acquisiscano maggiore consapevolezza dei propri diritti», possano «riconoscere i campanelli d’allarme di questo fenomeno» e non abbiano timore di denunciare. Secondo Perris, «può risultare molto utile rivolgersi aun professionista della salute mentale perinatale», che si occupa di «tutelare il benessere di mamma e bambino durante tutto il percorso nascita».