L’insostenibile loop del razzismo nel calcio

L’insostenibile loop del razzismo nel calcio

 

Se un problema continua a ripresentarsi, significa che qualcosa non va nel metodo in cui viene affrontato. Il caso diRomelu Lukakue di ciò che è avvenuto nellasemifinale di Coppa Italia tra Juventus e Interrappresenta l’ennesimo episodio di razzismo negli stadi, enon è nemmeno la prima volta che un giocatore viene ammonito(e in questo caso espulso per il secondo giallo)per aver risposto in qualche modo agli insulti ricevutidagli spalti durante la partita. Dopo aver segnato il rigore del pareggio nei minuti di recupero, l’attaccante belga ha infatti esultato chiudendo gli occhi, facendo un saluto militare e mettendo un dito davanti alla bocca. Lo stessogestofatto dopo aver segnato la settimana precedente per la nazionale belga contro la Svezia è statoritenuto eccessivo e provocatorio dall’arbitro Massa. L’allenatore dell’Inter Simone Inzaghiha detto nella conferenza post partita che Lukaku «è stato frainteso – e che – lui esulta sempre così». AncheRoc Nation Sports International, l’agenzia sportiva (di proprietà del rapper Jay Z) che rappresenta Lukaku, ha scritto inun comunicatoche “prima, durante e dopo – il gol, Lukaku – è stato oggetto di abusi razzisti ostili e disgustosi – e che – ha festeggiato nello stesso modo in cui ha esultato per i gol precedenti”. Il caso ha avuto risonanza internazionale, eil giocatore ha ricevuto la solidarietà di altri campioni sportivicome Lewis Hamilton, Vinicius Jr e Kylian Mbappé. Ciò che colpisce sono però le decisioni del Giudice Sportivo, che haconfermato la squalifica di Lukaku, e quella dell’Inter di non fare ricorso. In merito ai cori di discriminazione razziale la scelta è stata quella dichiudere per un turno la curva bianconera, alla luce del fatto che “i rappresentanti della Procura hanno segnalato cori al 35° e al 49° del secondo tempo, provenienti dalla maggioranza dei 5.034 occupanti” del settore. Una decisione che non servirà a molto visto che non punisce i singoli responsabili dell’accaduto,come invece sta cercando di fare la Juventus, utilizzando ifilmati delle telecamerepresenti nello stadio. Le decisioni sul caso Lukaku non sono diverse rispetto a quanto successo per episodi passati, come l’espulsione di Kalidou Koulibaly in Inter-Napoli del 26 dicembre 2018 o l’ammonizione di Moise Kean in Cagliari-Juventus del 3 aprile 2019.Come scritto dal giornalista svedese Siavoush Fallahi,che ha portato l’esempio del connazionale Ibrahimovic, ammonito per aver chiesto ai tifosi avversari di insultarlo di più,la questione non riguarda la squadra che tifiamo, ma qualcosa di più grande, e il benaltrismo ideologico che emerge tra i tifosi ostacola la lotta al razzismo. Aveva ragionePaola Egonua definire l’Italia un Paese razzista, perché lottare seriamente contro tutto ciò significa cercare diprendere decisioni molto più efficaci di quelle prese fino a ora. Il problema non riguarda solo pochi individui negli stadi, come dimostrato dagli insulti discriminatori che ha ricevuto lo juventinoJuan Cuadradosui social. In un’intervista pubblicata sui social network dal club bianconero,il capitano della Juventus Daniloha detto: «aspettiamo sempre che la cosa si faccia insopportabile prima di agire. È qui che dobbiamo cambiare atteggiamento». Lo slogan dellaLega Serie Aè “fuori il razzismo dagli stadi”, maoccuparsi del fenomeno come fosse una bolla isolata dalla società è quantomeno ingenuo, per non dire ipocrita. Se il mondo delcalciovuole prendere sul serio questo problema, deve farsi carico di un fardello che adesso ricade unicamente sulle vittime degli abusi. Altrimenti, come sostiene laCommon Goal Organization: «fino a che continueremo così, su un sentiero di parole vuote e multe insensate, il razzismo sarà una piaga che continuerà a gettare un’ombra sul calcio».