Licènziáti: chi sta perdendo il lavoro oggi a Twitter?

Licènziáti: chi sta perdendo il lavoro oggi a Twitter?

 

Per le grandiimprese del settore techemultinazionalinon è decisamente un buon momento:incertezza finanziariae riduzioni significative degli investimenti hanno colpito le enormi aziende. Come accade per ognicrisi economica, a patire le vere conseguenze sulla propria pelle è ilmondo del lavoro: non bastano riduzioni di capitale sociale e ricorso a sovraindebitamento per salvare i titoli sui mercati, spesso sospesi per eccessivo ribasso.Bisognalicenziare, tagliare le posizioni ormai superflue. I licenziamenti nelmondo delle big techcontinuano a inondare il mercato del lavoro di ex dipendenti di grandissime società un tempo ritenute formidabili e indistruttibili, che tuttavia sono piegate da investimenti troppo rischiosi e politiche organizzative confuse. Ciò che è successo (e continua a succedere) aTwitterdà la misura di questa tendenza. Perriassorbire le perditesuccessive all’acquisizione da 44 miliardi del social network, Elon Musk ha attuato un massicciotaglio del personaleche, oggi (come affermato dallo stesso imprenditore allaBbc)ha mandatoa casa ben 6.500 dipendenti su 8.000, risparmiando il lavoro a poco più di 1.500 persone. Una scelta «dolorosa» che per l’enorme quantità di organico da licenziare si presentaimpossibile da attuare di persona, ripiegando invece sulladisattivazionedei propriaccount aziendalie sulla successiva mail standard fatta di scuse e compassione. Il settore delle grandi imprese ad alto valore tecnologico vive una crisi senza eguali, frutto di scelte strategiche sbagliate, troppo agganciate al presente e scarsamente lungimiranti. Lo ammetteva lo stessoZuckerbergin un recente messaggio aziendale, in cui si scusava con i 20.000 dipendenti licenziati per averaccelerato eccessivamente le assunzionidurante il periodo più difficile dellapandemia. Proprio nel biennio maggiormente colpito dal Covid-19, infatti, le aziende avevano aumentato vertiginosamente il proprio organico incentivati dalla fortissima presenza online di tutto l’occidente, costretto a vivere fra le 4 mura di casa e immerso nel web per lavoro, studio o qualsiasi altro tipo di contatto sociale. Unadomanda crescenteda parte dei consumatori che ha portatoguadagni enormie vigorosi investimenti, oltre chenuovo personale. Di conseguenza, il settore tecnologico (dai social network all’e-commerce, fino ai servizi di streaming e messaggistica istantanea) ha registrato una crescita significativa con unaumento medio dell’86%delle proprie quotazioni in borsa. Un periodo sicuramente inebriante percolossi delwebe per inserzionisti pubblicitari, ma che con losgonfiarsi dell’emergenzae l’aumento generalizzato deiprezzi, ha visto rapidamente il proprio entusiasmocalare. E così i lavoratori delle big tech, in maggioranza giovani e convinti fino a poco tempo fa di essere inseriti in realtà forti e in perenne espansione, con un impatto notevole sulla società e un potenziale in continuo aumento, si ritrovano in massa senza lavoro e un possibile tracollo psicologico, ma con unmercato circostante che potrebbe sorprendere. Laddove le grandi aziende della Silicon Valley licenziano e oscurano annunci di lavoro, ecco che emerge all’orizzonte la possibilità dellepiccole e medie imprese:startupinnovativefinalizzate allo sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti o servizi ad alto valore tecnologico, assetate sì di finanziamenti, ma anche di talenti capaci di spingere e potenziare il loro business. Parliamo diimprese emergentie operative in ambiti ancora poco stabilizzati ma che il mercato (in perenne ricerca di una nuovaNew New Thingsu cui investire) osserva con curiosità, come quello dell’energia pulita, deiveicoli elettricie della tanto discussaintelligenza artificiale.Settori in cui tanti ex lavoratori delle big tech si immergono per creare progetti stimolanti e innovativi, con spirito di sacrificio e nella forte consapevolezza di non poter aspirare a guadagni immensi (per lo meno nell’immediato). Non ha dubbi in merito Laurent Descout, fondatore e amministratore delegato della società fintechNeodi Barcellona, per cui«Il danno per le big tech è diventato un vantaggio per le startup»che beneficiano dellamigrazione dei talenti delle grandi società tech ad aziende più piccole. I lavoratori infatti, soprattuttoneolaureati, «hannodubbi per la loro stabilitàe si rivolgono ad aziende emergenti piuttosto che ai giganti del settore»non più capaci di garantire sicurezza e benefit a chi cerca occupazione. In una complessiva rivalutazione della propria ambizione personale e professionale, secondo Descouti giovani di oggi preferiscono sempre più «svolgere un ruolo più importante in una piccola azienda,e ottenere una partecipazione significativa» rispetto a essere «unpiccolo ingranaggio di una macchina immensain un’azienda tecnologica più grande», con evidenti ricadute nel numero sempre più alto di candidature da parte di lavoratori altamente qualificati in settori tecnologici, anche verso aziende ben più grandi delle startup ma attive in tutt’altri mercati. In massa tornano infatti a bussare alle porte di aziende operanti in ambiti completamente differenti come quello finanziario, logistico, ma anche industrie produttrici di alimenti o la grande catena di supermercatiWalmart Inc., business lontani fra loro ma capaci tutti di assorbire la forza lavoro appena licenziata e giovarsi della loro expertise tecnologico-digitale. Alcuni osservatori ipotizzano che questa tendenza potrebbe rappresentare l’ennesimabolla destinata a scoppiarenel momento in cui le big tech, superato il periodo nero, ritorneranno in pistarecuperando di colpo tutta l’attrattiva persa. Per il momento l’esigenza di snellire la propria forza lavoro sembra essere comunque l’unica impellente preoccupazione dei grandi colossi dell’internet, orientati al risanamento delle perdite senza esclusione di colpi.