Dal Venezuela agli Usa: storia di chi ce l’ha fatta

Dal Venezuela agli Usa: storia di chi ce l’ha fatta

 

In un appartamento diCaracas, nel cuore della notte: inizia qui il racconto diAlejandro(nome di fantasia) alGuardian. L’addestramento militarenell’esercito, le accuse di essere unoppositore politico,leminacce di morte, lafuganel bel mezzo della notte, l’arrivo in Colombia, l’attraversamento del deserto messicano perraggiungere il confine con gli Usa,il centro didetenzioneper migranti illegali. La vicenda di Alejandro non è molto diversa da qualsiasi altromigrante venezuelano. Il Paese, infatti, dal 2014, con il crollo del prezzo del petrolio e il cambio di leadership dopo la morte di Hugo Chavez, sta vivendo unagrande e grave crisi migratoria:tra i motivi che spingono i cittadini a lasciare la propria casa e il proprio Paese ci sono laviolenza, la generale situazione diinstabilità,le minacce, lamancanza di servizidi base e beni di prima necessità, come cibo e medicine. La situazione economica è gravemente peggiorata dopo la pandemia e oggi si stima che il42% dei bambinidiCaracase delle zone limitrofe soffra di qualche forma dimalnutrizione. Secondo i dati Onu, irifugiati venezuelani nel mondo sono 7,13 milioni(di cui 1 milione richiedente asilo); la maggior parte si trova negli Usa e nei Paesi vicini, comeArgentina, Brasile, Bolivia, Cile, Colombia, ArubaeCuraçaodove, secondo quanto riportato dalreportdellaPlataforma de Coordinacion Interagencial para Refugiados y Migrantes,diventano facilmentepreda del crimine organizzatoche li recluta per il contrabbando di droga o lo sfruttamento sessuale. Sempre secondo il report, è altissimo il rischio diviolenza, rapimenti, sparizioni forzateeomicidi. Lo stesso pericolo lo corrono coloro che vengono espulsi dagli Stati Uniti verso il Messico, come previsto dal nuovo programma di emigrazione messo a punto dall’Amministrazione Biden che da un lato continua la linea dura contro l’immigrazione clandestina, mentre dall’altro incentiva l’arrivo legale nel Paese di chi possiede determinati requisiti, finendo per privilegiare chi è già privilegiato. GliUsarimangono comunque una dellemete preferite,dal Venezuela come da tutta l’America Latina, nonostante gli ostacoli rappresentati da leggi anti-immigrazione e dall’ambiente ostile in cui si svolge il viaggio. Nel caso dei venezuelani, non tutti possono raggiungere il Messico via aria, come nel caso di Alejandro, e sono quindi costretti a farlo via terra, attraversando gli instabili Paesi centroamericani: ma non sono loro la parte più pericolosa dell’impresa. L’unico passaggio via terra verso l’America centrale è il famigeratoDarien Gap(Tappo del Darien) che con i suoi 5.000 km quadrati di giungla, al confine tra Colombia e Panama, rappresentauna delle rotte più pericolose al mondo per imigrantiillegali. IlDarien Gapdeve il suo nome dal fatto che in passato era considerato impenetrabile, tanto che a ogginessuno ha osato costruire unastradache lo attraversi: rappresenta così l’unica interruzione dell’autostrada panamericana che corre lungo il continente, dall’Alaska all’Argentina. A guardarlo su Google Earth, si vede solo unamacchia di un verde profondo,che dà l’idea di un’oasi di pace di splendida natura incontaminata. Ma estremamente ostile all’essere umano.La vegetazione della foresta pluviale è fittae nasconde molte insidie: montagne scoscese, fiumi inaspettati, fango e paludi che rendono estenuanti gli spostamenti a piedi, animali selvatici, a volte velenosi, malattie mortali. Latotale assenza di strade e sentierirende la probabilità di perdersi una certezza il che porta i migranti aaffidarsi a guide che riscuotono pedaggisalati e che spesso li abbandonano in mezzo alla foresta. I pericoli che non vengono dalla natura sono poi compensati con quelli umani: non solotrafficanti di personema anchegruppi criminali e paramilitariche hanno fatto della giungla del Darien il proprio nascondiglio senza legge. Nonostante questi elementi di pericolo, si stima che nel 2022 il numero di migranti passati dal “Tappo” sia quasi triplicato rispetto all’anno precedente, e che la maggior parte sianovenezuelani. Ciò che però aspetta i più fortunati, ovvero coloro che riescono a uscirne indenni, dopo essere arrivati in Messico e aver attraversato il deserto in direzione degli Usa, non è il sogno americano macentri di detenzione per migranti illegali:vere e proprie prigioni dove si compiono abusi e violenze, dove le condizioni di vita sono inadeguate, quando non indecenti. Per Alejandro il periodo di detenzione è stato «la parte più nera dell’oscurità»:le guardie sottoponevano i migranti a tortura fisica e psicologica, impedendone il sonno e battendo le sbarre con i manganelli durante la notte. I mesi di attesa dell’udienza per il permesso a restare sono stati estenuanti, ma quando il momento è arrivato è stato anche peggio. Condotto in manette davanti a un ufficiale giudiziario,senza assistenza legale,ha dovutoripercorrere tutta la storiaa ritroso per difendere il proprio caso. Durante la prigionia, aveva 2 opzioni, una peggiore dell’altra:restare rinchiusoo esseredeportato in Venezuela. «Il sistema è disegnato per portarti a un punto in cui non hai più speranza», ha raccontato alGuardian. Oggi Alejandro è libero e vive in Florida con la sorella, ma il ricordo del trauma di ciò che ha dovuto passare è ancora vivido nella sua mente e nelle sue parole. La sua non è una storia isolata, ma solo una delle tante, di tutti coloro che ogni giorno decidono di lasciare indietro tutto ciò che amano e conoscononella speranza di una vita migliore.