Quello che non si dice della fecondazione assistita

Quello che non si dice della fecondazione assistita

 

Di libri che raccontano esperienze difecondazioni assistiteriuscite e mancate ne sono usciti tanti in questi anni, a testimonianza del fatto che questapraticasia diventata non rara, anzisempre più diffusa, come raccontano i numeri, che segnalano soprattutto unaumento di quella eterologa. Una pratica che si è fatta strada nel tempo a colpi di sentenze di tribunale contro norme troppo restrittive (legge 40 del 2004) e che si può svolgere, purtroppo, soprattutto all’interno di centri privati. Parla difecondazione assistitail libro diAntonella Lattanzi,Cose che non si raccontano(Einaudi), che sia per ciò che è capitato all’autrice, sia per il modo con cui lo racconta, rappresenta unesercizio di riflessione estremo sul tema, perché tocca, e riesce a riportare su pagina, ilparadosso drammatico in cui questa pratica può far precipitare. Una situazione in cui, proprio come in una tragedia greca,nessuna scelta è possibile, a causa dell’imponderabilità della fecondazione assistita, a causa della sua immensa ombra, troppo spesso taciuta dietro un’immagine di efficienzamedica, camici bianchi ed embrioni perfettamente congelati. Già la prima parte del libro suscita un certo sgomento in chi legge perchéil desiderio forte e infinito dell’autrice di avere un figlio- che porta avanti questo compito con un impegno morale calvinista -viene messo a dura prova dalla fatica che le cure comportano. Gli spostamenti tra le strutture in varie parti d’Italia, la quantità immensa e indicibile difarmaciche occorre prendere, i tentativi falliti e il relativo strazio, la vita stravolta, i costi, la solitudine perchéa prendersi tutto il carico e insieme il dolore può essere uno solo della coppia, come nel suo caso, mentre il compagno è sempre altrove. E già qui, quando ancora siamo all’inizio, chi legge si sente confuso, si chiedese sia possibile sopportare tutto questo, in nome di che, perché. La risposta dell’autrice è indiretta ma presente in ogni pagina:è quella speranza, benedetta e maledetta, che ti fa andare avanti, quell’impegno preso in nome di unavita desiderata, pur non senza contraddizioni. Perché, a esempio, Antonella Lattanzi racconta del suoterrore di perdere il lavoro, ma anche quello di avere due gemelli, del fatto che mai potrebbe sopportare un tale carico mentale e pratico. Eppurequello che la vita le presenta è proprio questo: non due, ma tre gemelli, sviluppatisi in una circostanza eccezionale e rarissima, ovvero da una duplicazione di uno dei embrioni attecchiti. Maall’autrice non è data neanche la possibilità di accettarequesta nuova realtà, di provare ad adeguarsi a una vita con tre figli che lei non vuole in nessuno modo, ma che è sempre meglio dell’alternativa di non averne nessuno, perché questagravidanzanon può essere portata avanti così, rischiano di morire tutti, lei compresa. Va fatta unariduzione del numero di gemellie questa riduzione è molto rischiosa, la percentuale di riuscita non è alta. Così, ecco ilparadosso dell’impossibilità, cioè una condizione fisica e morale che ti porta quasi aperdere l’equilibrio mentale. Ed è proprio questo secondo me il tema che il libro rende pubblico con forza:la scienza della fecondazionenon solo porta fatica, dolore, sfinimento psichico e fisico, mapuò metterti in una realtà in cui qualsiasi azione può avere conseguenze catastrofiche, in cui di fatto è impossibile qualunque azione. E questo può accadere perché, appunto, la scienza è andata avanti con troppa velocità, ma il nostro senso morale,la nostra capacità di riflessione non è in grado di includerne tutti gli esiti, soprattutto i più estremi. Non a casol’autrice non vuole parlare di ciò che le accade, anche se lo racconta attraverso il libro. Non vuol dirlo, e infatti non lo dice a nessuno, perchéquello che sta vivendo è letteralmente indicibilee se lo facesse il dolore potrebbe tracimare ovunque. Il rischio di trovarsi di fronte a situazioni impensabili e indicidibili, però, andrebbe tenuto presentee ricordato a ogni coppia che decide di affrontare un simile percorso, per onestà, per dovere di verità. E no, non c’entra niente col moralismo, col proibizionismo, con la domanda poco sensata “perché non adottate?”. Il problema è un altro: è chelo sviluppo della scienza dovrebbe andare di pari passo, ma così non è,con la capacità di riflettere sugli esiti e le conseguenze, perché possano entrare all’interno di un ragionamento etico, perché possano essere pensabili. Senza pensiero non siamo nulla e il libro di Antonella Lattanzi, che un pensiero cerca comunque di trovarlo, anche se a posteriori, nonostante una vicenda veramente incredibile e pagando un prezzo veramente troppo alto, lo testimonia.