L’arte è roba da donne

 

Anguissola, Sirani, Peeters, Kauffmann. Ti dicono qualcosa questi cognomi di artiste? Probabilmente no. Ma se nominassimoGiotto, Delacroix, Manet, Picassonon avresti dubbi sulla loro fama né sul mestiere che li ha consacrati. Le loro opere sono in tutti i più grandi musei, collezioni, chiese e gallerie del mondo, nonché su qualsiasi manuale di studio per le scuole. Che l’artenon sia mai stata “roba da donne”?Che il genio della pittura e della scultura sia appartenuto solo agli uomini, per tutti questi secoli? La risposta, oggi, è ovvia:la prospettiva maschilenon solohaaccuratamenteescluso dai musei le artiste e le pioniereche riuscirono a emergere, ma fin dal Rinascimentole ha tenute lontano da botteghe e luoghi culturalidove il loro genio artistico poteva crescere e accreditarsi tra i mecenati. Basta pensare che solo nell’800 le donne ottennero il permesso di studiare il nudo dal vero e poterono abbandonare la monotona raffigurazione di nature morte. In epoca contemporanea, non va granché meglio:nel 2019, nelle collezioni di 18 tra i più importantimuseid’arte statunitensi, l’87% delle opere era realizzata da uomini e l’85% da artisti bianchi. A tutt’oggi, le donne sono l’1% della collezione della National Gallery di Londra, che solo nel 2020 ha organizzato la prima mostra dedicata a un’artista del passato, Artemisia Gentileschi. Anche laBiennalediVeneziaha aperto le porte solo nel 2022 a donne nere in rappresentanza degli Stati Uniti (Simone Leigh) e del Regno Unito (Sonia Boyce), mentre laRoyal Academy of Artsdedicherà per la prima volta a settembre 2023 una personale alla genialeMarina Abramović. Come siamo arrivati a tutto questo? È la domanda che si è posta la storica dell’arte Katy Hesselnel 2015 durante una fiera, quando ha realizzato chetra le opere esposte nessuna era stata creata da una mano femminile. «Possibile?» ha continuato a chiedersi nella notte, e il giorno dopo, frustrata da una assenza così macroscopica,ha lanciato su Instagram il progetto@thegreatwomenartists, omaggio alla storica Linda Nochlin che per prima negli anni ’70 sollevò il tema nel saggioPerchénon ci sono state grandi artiste?(rieditato nel 2019 da Castelvecchi). Da quel giorno Hessel ha pubblicatoun post al giorno per ridare la giusta fama a pittrici, scultrici, fotografe, professionistetenute in ombra dalla storia passata, recente e attualissima. Il suo lavoro è diventato poi unpodcaste, sette anni dopo, un voluminoso saggio di 500 pagine intitolatoLa storia dell’arte senza gli uomini(Einaudi). «Non credo che nelle opere realizzate da artisti di qualunque genere sessuale si trovi qualcosa di intrinsecamente diverso. – scrive Hessel – Piuttosto, è stata la società, e i suoi guardiani, che hanno sempre assegnato il primato a un gruppo. E io credo sia di importanza vitale affrontare e mettere in discussione questo stato di cose». Hessel sottolinea come sistiano facendo molti progressi in questi anni, grazie a uno sforzo collettivo di artiste, studiose e curatrici di tutto il mondo salite anche nella gerarchia museale. È il primo caso nella storia, infatti, in cuile donne si trovano alla guida dellaTate Modern, delLouvree dellaNational Gallery of Artdi Washingtonper esempio. E anche nel nostro Paese sono più di 20 le manager che dirigono istituzioni culturali e musei (nel 2022 sono state anche ritratte dal fotografo Gerald Bruneau in unamostra a Palazzo Reale). Ma la strada è ancora lastricata di trappole, se per esempio pensiamo alprezzo più alto spuntato da una donna artistain asta,Proppeddi Jenny Saville del 1992, che ammontava al 12% del prezzo raggiunto da un artista vivente di sesso maschile,Ritratto di un artista (Piscina con due figure)di David Hockney del 1972, venduto nel 2018 per 90,3 milioni di dollari. Una legge del mercato spietata che era già in voga tra i commercianti d’arte ottocenteschi, noti per raschiare via dalle tele le firme delle artiste a favore di nomi di contemporanei maschi. Il voluminoso libro di Katy Hessel prende in esame leartiste dal Cinquecentoa oggi e sarà una vera sorpresa conoscerle. Dallaminiaturistache divenne santaCaterina de’ Vigri(1413-1463) allascultrice ribelle Properzia de’ Rossi(1490-1530), entrambe vissute in una città, Bologna, che unica tra poche incoraggiava il talento artistico femminile. Scoprirai anche che esiste una tela chiamata L’ultima cena, a opera della monaca Plautilla Nelli, datata 1560, che è la prima raffigurazione nota di quell’episodio biblico dipinta da una donna. Dal 2019 il quadro si può ammirare al refettorio di Santa Maria Novella a Firenze: è stato restaurato e reso visibile al pubblico dopo “soli” 450 anni. E poi:fu la francese Rosa Bonheur a eseguire il più grande dipinto che avesse per soggetto gli animali. Il suoMercato dei cavalli, realizzato tra 1852 e 1855, era alto due metri e largo cinque e venne persino richiesto in visione a Buckingham Palace dalla regina Vittoria d’Inghilterra. A Bonheur fu concesso di vestire abiti maschili per visitare le fiere di cavalli, necessarie per studiare i suoi soggetti preferiti e che all’epoca erano vietate al pubblico femminile. E ancora: avresti mai considerato ilquiltmakingcome una vera arte? Praticata dalle donne di tutto il mondo, larealizzazione della trapunta fatta a manoaveva usi pratici, politici, educativi e sociali.Le coperte venivano usate per raccogliere fondi per cause abolizioniste e femministe, per veicolare messaggi di emancipazione e tramandare storie. La testimonial più importante di questa arte fu l’insegnante di scienze afroamericana Ellen Harding Baker, nata in schiavitù, che realizzò l’ipnotica Trapunta del sistema solare nel 1876, seguita dalla Trapunta della Bibbia. Baker rimase sconosciuta fino agli anni ’70 del Novecento. Man mano che ci si avvicina all’epoca moderna, è facile inciampare in artiste che hanno conquistato la ribalta e sono diventate delle icone comeTamara de Lempicka, Frida Kahlo, Georgia O’Keeffe, Tarsila do Amaral(la più importante artista modernista brasiliana), Louise Bourgeois, Yoko Ono, Marina Abramovic. Accanto a loro, decine di altri nomi e cognomi femminili che sarebbe impossibile citare tutti qui, ma che l’imponente lavoro di Katy Hessel – con il suo ambizioso progetto @thegreatwomenartist – cerca di ricollocare al giusto posto nella storia.