Afghanistan: chiusa la biblioteca delle donne

Afghanistan: chiusa la biblioteca delle donne

 

A Kabul è stata chiusa la Biblioteca Zan(che significa “donna” indari, dialetto persiano e lingua madre di circa il 40% degli afghani), l’unica in città dedicata alle donne. Era stataaperta nell’agosto del 2022per “promuovere la cultura e la lettura tra donne e ragazze, che non possono frequentare scuole e università”,ha spiegato la 28enne Laila Basim,una delle sue fondatrici, aggiungendo che si stava trasformando in “unatto di resistenza civile delle donne contro le politiche dei talebani”. Nella biblioteca c’eranopiù di 5.000 libritra romanzi, libri illustrati, saggi economici, politici e scientifici, tuttidonati(così come le sedie, gli scaffali e i tavoli) soprattuttoda donne afghane, ma anche da “alcuni uomini e amici stranieri”, spiega la fondatrice aEl País. Inoltre, c’era la possibilità di prendere in prestito i libri in4 lingue(persiano, pashtu, inglese e arabo) e si organizzavano spessoworkshop e seminari gratuitidedicati ai“diritti delle donne, politica, religione e altri temi” 2 volte alla settimana, per“aumentare la conoscenza e la capacità critica delle donne”. Laila Basim ha spiegato chela biblioteca è stata chiusa a causa delle minacce e delle vessazioni deitalebani. E, così, “si spegne una speranza. Ora le ragazze afghane non avranno più un posto in cui studiare e poter parlare”, ha spiegato tramite messaggi Whatsapp inviati alla redazione del quotidiano spagnolo. “Nei 7 mesi di vita della biblioteca,i talebani ci hanno sigillato la porta 2 volte,ma noi l’abbiamo riaperta con l’aiuto di amici e abbiamo continuato a lavorare. Tuttavia, i talebani non si sono fermati. Hanno iniziato a presentarsi qui tutti i giorni e a chiederci cosa stesse succedendo ecosa stessero facendo le lettriciin biblioteca. Un giorno, 4 membri delle forze di sicurezza hanno fattoirruzionee hanno iniziato a chiedermi chi ci avesse dato il permesso di aprirla. Poi ci hanno detto cheil posto di una donna è in casa sua e non fuori”. A febbraioRichard Bennett,UN Special Rapporteur on the situation of human rights in Afghanistan,ha presentato un rapportoin cui denuncia la“riduzione dei diritti delle donne in Afghanistan”ma anche “l’uso eccessivo della forzada parte dei talebani”, con “percosse e spari d’avvertimento alle manifestanti”. Inoltre, nel documento afferma che “tra i manifestanti, spesso leafghane sono sottoposte a minacce, intimidazioni, arresti e maltrattamenti” mentre si trovano sotto la custodia delle autorità. Laila Basim conferma quanto dichiarato dal Relatore Speciale, raccontando che“Nel dicembre 2021, noi donne abbiamo manifestato per strada e una televisione iraniana mi ha posto delle domande sugli omicidi nella provincia di Panshir [nord-est dell’Afghanistan]. Dopo quell’intervista, i talebani mi hanno minacciata, dicendomi cheavrebbero trovato casa mia e mi avrebbero uccisa”. Nel frattempo, nel Paeseil divieto per le donne di frequentarescuolee università prosegue:il 16 marzo le aule sono state riaperte per la seconda parte dell’anno scolastico,soltanto per i ragazzi. Ma le donne continuano a protestare e scendono in strada:“L’istruzione è un nostro diritto. Donna. Giustizia. Libertà”.In un video condivisodomenica da Shabnam Nasimi, attivista politica per i diritti delle donne in Afghanistan ed ex consigliera del ministero per la ricostruzione del Paese, si vedono alcune donne protestare davanti ai talebani. Si tratta, come l’ha definita Laila Basim, di“una guerra delle penne contro le pistole”.