Cosa succede nei Cpr italiani?

 

In Italiasono attualmente attivi10 Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), per un totale di 1.100 posti disponibili. In questi luoghi sonotrattenuti i cittadini stranieri in attesa di espulsione dal territorio italiano, ma secondo laCoalizione Italiana Libertà e Diritti civili (Cild)per questi centri non esiste un ordinamento o un regolamento e l’esercizio dei diritti delle persone trattenute è compromesso. Imigrantiirregolari sono trattenuti fino a un massimo di 90 giorni, prorogabili di altri 30 in caso di cittadini di un Paese con cui l’Italia ha sottoscritto accordi di rimpatrio. Il problema è che tali intese scarseggiano e sono spesso inaccessibili: come riportaAsgi(Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), infatti, l’Italia ha firmato finora accordi bilaterali solo conNigeria, Gambia, Costa d’Avorio e Senegal, sotto forma però di semplici intese tra forze di polizia che impediscono ai cittadini di conoscerne il contenuto. Eredi deiCentri di identificazione ed espulsione (Cie), iCprsi sono costituiti nel 2017 con il decreto-legge dei ministri Marco Minniti e Andrea Orlando.Il progetto iniziale era quello di aprire unCprin ogni Regione con lo scopo di aumentare il numero dei rimpatri, ma a oggi sono presenti solo in Puglia, Basilicata, Sicilia, Sardegna, Lazio, Piemonte, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia. Al contempo,la percentuale dei rimpatri dal 2017 al 2021 si è ridotta,passando dal 58,6% al 49,7%, così come il numero dei migranti transitati neiCpr: erano più di 6mila nel 2019 esono stati poco più di 5mila nel 2021. Nonostante la riduzione del numero degli ospiti,la spesa da parte dello Stato cresce. Se tra 2018 e 2021 il costo di gestione deiCprè stato di 44 milioni di euro, con la nuova Legge di bilancioil Governo Meloni ha predisposto un incremento di 5,39 milioni di euro per il 2023. Un aumento che,secondo un’analisi diOpenpolis, salirà di 14,39 milioni fino al 2024 rispetto alla previsione fatta nel 2022. Eppure, perCild“la gestione privata di questi centri li rende un vero e proprio business che, in nome della massimizzazione del profitto, comprime ancora di più i servizi che dovrebbero essere offerti alle persone recluse, va ricordato, senza che abbiano commesso alcun reato”. ICprsono definitiluoghi di detenzione amministrativa, ma come denunciano Ong e associazioni,spesso la tutela e la dignità dei trattenuti al loro interno non sono affatto garantite. SecondoAsgi, a esempio, nel centro diPalazzo San Gervasioin provincia di Potenzale condizioni di reclusione dei migranti violano il diritto alla salute fisica e psicologicae il diritto alla difesa viene ostacolato. Molte delle persone presenti nelCprnon conoscono infatti la ragione della loro detenzione e il medico della struttura ha ammesso che questo rappresenta per loro un fattore fortemente destabilizzante. Inoltre, fra i trattenuti, isolati fisicamente e privati di assistenzapsicologicaadeguata, coloro che riportano disturbi comportamentali e problemi psichici fanno uso massiccio dipsicofarmaci. Nell’ultimo mese, nelCprdi Torino i migranti hanno appiccato vari incendiche hanno portato alla chiusura della struttura per ristrutturazione.L’Assemblea No Cpr di Torino ha scrittoin un comunicato che “la protesta è partita per via delle orrende condizioni di detenzione e delle forme di tortura che l’ente gestoreORS Italia, con il sostegno della questura, attuano giornalmente. Da dentro ci raccontano che il cibo è avariato e contiene psicofarmaci, le celle sono fredde, manca acqua calda e le sezioni sono piene di spazzatura. Ci raccontano di una stanza adibita ai pestaggi”. A seguito del trasferimento dei migranti in altri Cpr, attualmente sarebbero ancora 6 le persone presenti all’interno della struttura torinese, tutti in sciopero della fame per protestare contro la loro reclusione. Appena 24 ore dopo la protesta del 4 e 5 febbraio,anche ilCprdi Milano ha bruciato: i trattenuti hanno dato fuoco ad alcuni materassi rendendo inagibili diversi locali dell’edificio.

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