Cos’è il texturism che discrimina (ancora) sul lavoro?

Cos’è il texturism che discrimina (ancora) sul lavoro?

 

Nonostante i progressi degli ultimi anni, ladiscriminazione razziale sulla base dei capelliè ancora un problema sistemico sui luoghi di lavoro, soprattutto per le donne bipoc che per questo motivo (ma non solo) hanno meno opportunità di trovare un’occupazione e di crescere professionalmente. Il fenomeno è dettotexturisme prende in prestito dall’inglese il riferimento ai cosiddettitextured hair, i capelli al naturale delle persone di origine afroamericana, nelle diverse variantikinkyocoily. LinkedIne il brand di saponi e prodotti per il corpoDovehanno creato insieme unacampagnadi sensibilizzazione volta a creare un ambiente dilavoropiù inclusivo ed equo per le persone con capelli afro, accompagnato dallo slogan:Black hair is professional, che sottolinea comela professionalità possa essere associata a qualsiasi tipologia di capelli. Doveè anche tra i co-fondatori di un’associazione che ha promosso l’adozionenegli Stati UnitidelCrown Actper la tutela dalla discriminazione per i capelli naturali. Dopo l’approvazionealla Camera dei Rappresentanti a marzo dell’anno scorso,il disegno di legge a dicembre non ha ottenuto voti sufficienti alSenatoa causa dell’opposizione di alcuni repubblicani.La tutela oggi è quindi garantita solo a livello statale in 19 Stati.Gli ultimi a introdurre una legislazione simile alCrown Actsono stati Maine, Tennessee, Louisiana, Massachusetts e Alaska nel 2022 e Minnesota a gennaio 2023. Secondo quanto riportato nelCrown Workplace Research Study del 2023, lediscriminazioni sulla base dei capellicontinuano a insinuarsi nelle organizzazioni lavorative a tutti i livelli e in fasi diverse,dai colloqui di assunzione alle quotidiane interazioni con i colleghi, con un impatto negativo sulle donne sia dal punto di vista sociale sia economico. Per avere più possibilità di essere assunte,circa 2/3 delle donnebipoc(il 66%) ha cambiato l’aspetto dei propri capelli ai colloqui di lavoro.E tra queste,il 41% li ha lisciati per omologarsi ai tratti tipici occidentali.Più della metà (il 54%), infatti, ritiene di doverlo fare per sperare in un colloquio dall’esito positivo.La pressione è sentita soprattutto tra le giovani, probabilmente per motivi di insicurezza legati all’età, che nelle foto professionali sentono di doversi mostrare con una piega liscia. Il timore non è infondato, perché – come dimostrano i dati dello studio –la probabilità che i capelli afro al naturale siano percepiti come non professionali è 2.5 volte più alta. E il 20% delle donne nere tra i 25 e i 34 anni è stato mandato a casa dal lavoro a causa dei propri capelli. Il report diCatalyst, organizzazione non-profit globale che promuove ambienti di lavoro migliori per le donne, ha confermato la presenza deltexturismsui luoghi di lavoro. Una delle donne intervistate per realizzarlo ha riferito che: «alcuni colleghi maschi osservavano i miei dreadlocks ridacchiando. In seguito, ho scoperto che hanno pubblicato diverse foto su Instagram con la faccia dipinta di nero e una parrucca rasta, per prendersi gioco di me». Un’altra ha ricordato quando aveva le treccinebox braidse un collega le ha detto che erano «non professionali e inadeguate per il luogo di lavoro». Con l’hashtag#BlackHairIsProfessionalmolte altre donne hanno contribuito adiffondere il dibattito su LinkedIn.L’attivistaShata Dialloha scritto: «fino a qualche anno fa mi affidavo al tiraggio chimico, un trattamento che stira i capelli in modo irreversibile. Interrompere per sempre questa pratica è stato per me un momento identitario, di accettazione e affermazione». La giovane scrittriceSade Green, ricordando il momento in cui è apparsa in un’intervista televisiva con i capelli al naturale, ha dichiarato che «si mostrerà sempre così, come la più autentica versione nera di sé stessa». Perché nessuna donna debba sentirsi obbligata a cambiare i propri capelli per il riconoscimento della sua professionalità,le aziende possono fare molto percome investire in programmi di formazione e consulenza su queste forme di oppressione e marginalizzazione, favorire un ambiente aperto all’ascolto in cui le vittime di discriminazione possano parlare liberamente, promuovere la creazione di una visione comune tra colleghi e coltivare l’empatia tramite la comprensione delle esperienze personali.