Ieri al Quirinale, il presidente della RepubblicaSergio Mattarella ha ospitato donne di Paesi dove i diritti sono una chimera,Iran e Afghanistan in prima linea. Oggi la Commissione giustizia al Senato voterà, e dovrebbe approvare, ilCodice rosso rafforzato. Finalmente passi avanti e più attenzione da parte di tutti per la “questione femminile”. Ieri in tutto il mondo abbiamo celebrato la ricorrenza dell’8 marzo, comunemente chiamata festa della donna. Ma ha un modo diverso e più corretto di essere definita, ossiaGiornata Internazionale della Donna. Approfondiamo un concetto legato a questa ricorrenza, ossiail motivo per cui si ricorda e festeggia. Partiamo dunque, dalla genesi. Le origini non sono del tutto chiare, tuttavia per molti storici risale al 1914. Nel1908, negliUsa, si tenne una conferenza presieduta da Corinne Brown, autorevole esponente del partito socialista americano, nella quale si discusse laquestione del suffragio universale, lo sfruttamento delle operaie e in generale lediscriminazioni che avvenivano in base al genere. L’evento ebbe molto risalto e vi furono altre giornate simili in diversi Paesi, come Finlandia, Germania, Austria, Danimarca, Svizzera e Russia. La prima volta che la giornata internazionale della donna si tenne l’8 marzo fu nel1914, in Germania, quando ledonnesi riunirono perprotestare contro gli orrori della guerrain corso e per solidarietà nei confronti delle donne russe, che già nel 1913 avevano indetto una giornata internazionale per protestare contro l’oppressione del regime zarista e la guerra. Ma fu solo il16 dicembre 1977che l’assemblea generale delleNazioni Unitepropose cheogni 8 marzofosse dichiarata festa internazionale, per difendere i diritti delle donne e della pace in tutto il mondo. Ora, il motivo per cui è preferibile chiamare la ricorrenza Giornata Internazionale dell’8 marzo piuttosto che “festa”, è intelligibile nel momento in cui ci ponessimo alcune domande e le trovassimo retoriche.Possiamo noi donne abbassare la guardia? Abbiamo gli stessi diritti degliuomini in tutti i Paesi del mondo?E le loro stesse opportunità, anche qui in Italia? Sono finiti gli orrori della guerra? Le domande sembrano decisamente retoriche. Non solo festa con omaggio di mimose, dunque, che pure vanno bene, per carità, ma consapevolezza e coraggio da parte di noi donne, perché il percorso di crescita non è finito. Le donne in Iran Prima di parlare della condizione delle donne in Italia, è necessario prendere in esame la situazione in cui versano ledonne nei Paesi a cultura islamica.Lì, in Iran, in Afghanistan, in diverse nazioni africane, vige uno stato dei fatti che potremmo considerare paradossale o assurdo se non fosse così crudelmente reale. I media ci stanno mostrando notizie e immagini dall’Iran, nelle quali le donne, evidentemente sfinite dall’assurdo regime iraniano di Khamanei, si stanno opponendo al Governo con un coraggio che non possiamo che definire commovente. Sono pronte a dare la vita: in molte l’hanno già fattoe altre lo faranno. È facile supporre che il motivo sia che, quella che vivono, non la considerano più vita. L’input è stato l’uso obbligatorio del hijab, ilvelo, ma credo che si tratti di una contestazione globale del regime, la volontà di una rivoluzione. L’input, dunque, è stato l’arresto della giovane Mahsa Amini perché indossava il velo in maniera scorretta. Fu torturata e infine uccisa dalla polizia morale. Da lì è partita la rivolta che, finalmente e fortunatamente, ha visto anche lapartecipazione di numerosi uominia fianco delle donne. Sfortunatamente, invece, almeno 500 persone, tra i quali bambini, hanno perso la vita per l’inflessibile repressione ordinata dal regime. E ci sono stati almeno 20.000 arresti. Gliintellettuali iraniani, che non mancano in quel Paese dalla ricca e antica storia, si stanno mobilitando,esprimendo con coraggio la loro posizionea favore dei diritti umani e in particolare delle donne. Il fatto positivo è che il germe della speranza sembra stia dilagando nella società civile, che ci sia una crepa nel regime e che addirittura una nipote dell’ayatollah abbia espresso opinioni a favore della protesta. Purtroppo, anche lei è stata arrestata ma l’esempio dato non può passare inosservato, come è rimasta inosservata la protesta deicalciatoridella nazionale iraniana che non hanno cantato l’inno ai Mondiali. L’esempio l’hanno dato anche lestudentessecon le manifestazioni a scuola. La speranza degli iraniani, in sostanza, è cheil regime non potrà uccidere o arrestare tutto il popolo!Altrimenti, su chi governerebbe? Ma la fine non sembra vicina, anzi: proprio qualche giorno fa, alcune studentesse sono stateavvelenate con composti gassosi a scuola. Sono lodevoli i tentativi di protesta in tutto il Paese, uniti dallo slogan“Donne, Vita, Libertà”e dai comuni intenti. Ma ciò che serve davvero per pensare di vincere la battaglia è un centro di comando organizzato e magari una guida, un leader, un’organizzazione alternativa al regime. La storia ci insegna che lerivoluzioni riescono se appoggiate(purtroppo, ma necessariamente)da un Governo di uno Stato forte. Tutti pensiamo agli Usa. Ma non so se stavolta quello che è sarcasticamente considerato lo Stato che interviene nel mondo per fini economici, avrà forza e volontà di intervenire. Troppe questioni in tutto il mondo stanno dilaniando i rapporti tra Stati, la guerra in Ucraina in primis. Stiamo rischiando la tempesta perfetta. Le donne in Afghanistan InAfghanistan, poi, le donne non possono compiere gli studi superiori e ricoprire cariche pubbliche: prima dell’avvento del regime talebano, lavoravano in magistratura e in politica. Oranon possono nemmeno votare e addirittura uscire di casase non accompagnate da un uomo. Le donne (e le bambine) in Africa In generale, la condizione delle donne inAsiaeAfricanon è paragonabile a quella che vige nel mondo più evoluto. Ma questo può bastare solo come consolazione. Neanche troppo magra, se pensiamo a quello cui abbiamo accennato. Ma in alcune zone dell’Africa, si pratica ancora l’infibulazionealle bambine. E in Italia? In Italia, in maniera più evidente rispetto al mondo anglosassone, il problema riguarda lamancanza di pari opportunitàrispetto ai posti di comando che, diciamolo, sono ancora appannaggio degli uomini. Eppure, le statistiche dicono che le donne sono in media più istruite e si laureano prima degli uomini. Certamente parte di questo squilibrio deriva dall’atteggiamento mentale delle donne, mediamente meno ambiziose e più propense a ottenere un lavoro meno importante per potersi dedicare alla costruzione di una famiglia. Ma c’è dell’altro. Da decenni i ruoli direttivi sono stati assorbiti e presi dagli uomini e ora è più difficile per una donna dalle spiccate capacità, accompagnata da una sana ambizione, entrarvi a pieno titolo. Qualcuna ce l’ha fatta. Mi complimento conMaria Montessori, Grazia Deledda, Rita Levi Montalcini, Nilde Iotti, Alda Merinie tante altre che potrei menzionare, tra cui Giorgia Meloni, che ne ha citate 16 nel suo discorso per la fiducia alla Camera. È però giusto terminare l’articolo con un moto di speranza e di fiducia. Pian piano i meandri del potere, che tanto gelosamente custodiscono gli uomini, saranno condivisi, nello stesso numero, dalle donne. È un fatto matematico, se ci pensiamo bene. Basteràaggiungere un tassello femminilealla volta in quei centri. Il resto si completerà come logica conseguenza.
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