Gli organismi di certificazione ambientale fanno greenwashing?

Un’inchiestacondotta dalConsorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi(Icij)ha rivelato chegli organismi di certificazione ambientale contribuiscono a favorire la deforestazione e ad alimentare regimi autoritariall’insaputa dei consumatori. Alcuni prodotti derivanti dal disboscamento illegale diforesteindigene e aree protette vengono infatti bollati comesostenibili e rispettosi deidiritti umanie le aziende usano poi queste certificazioni per pubblicizzarli, anche se la loro filiera produttiva non rispetta né gli standard ambientali, né le leggi sul lavoro e i lavoratori. Dal 1998 più di 340 aziende certificate nel settore dei prodotti forestali sono state accusate di reati ambientalida comunità locali, gruppi ambientalisti e agenzie governative e circa50 di queste erano in possesso di certificati di sostenibilitànel momento in cui sono state multate o condannate. Nel 2021, inoltre, le agenzie per la protezione dei consumatori di Regno Unito e Olanda hanno esaminato centinaia di siti web aziendali e stabilito cheil 40% delle affermazioni di ecocompatibilità potrebbe essere fuorviante per i consumatori. Le cosiddettecertificazionidisostenibilità, fornite da enti privati,non sono obbligatorie per legge, ma sono diventate indispensabiliper le aziende che producono, utilizzano o commerciano legname, olio di palma e altri prodotti legati alla deforestazione. Lecertificazioni Esgassicurano infatti a clienti e investitori che le operazioni e i prodotti delle aziende siano rispettose dellelinee guida ambientali, sociali e di governance. Attribuite sulla base di standard volontari,le certificazioni ambientali sono gestite all’interno di un sistema di autoregolamentazioneda parte di organizzazioni comeForest Stewardship Council, ilProgram for the Endorsement of Forest Certificatione laRoundtable on Sustainable Palm Oil. Tra test e ispezioni,il loro mercato vale 200 miliardi di dollari. L’indagineDeforestation Inc. di ICIJ mostra però idanni che questa pratica di disinformazioneportata avanti dalle compagnie di certificazione nei confronti di investitori, clienti e consumatori causa all’intero ecosistema e ad alcuni territori protetti specifici come quelli della Finlandia e della Corea del Sud, ma anche nelle foreste indigene della Columbia Britannica e dell’Amazzonia. In alcuni Paesi, come denunciato anche daGreenpeace,la questione ambientale si intreccia con quella dei diritti umani. Come documentato dall’inchiesta,ladeforestazioneinfatti provoca anche la violazione dei diritti delle comunità indigeneche abitano i terreni disboscati e in alcuni casialimentapersinoregimi autoritari. Il commercio del teak del Myanmar, un legno utilizzato per gli yacht di lusso e per la produzione di mobili pregiati, rappresenta a esempio una fonte di reddito vitale per il regime militare del Paese, che le certificazioni ambientali contribuiscono a finanziare. L’analisi dell’ICIJ mette in luce anche chegli organismi certificatori sonoraramente ritenuti responsabiliper aver minimizzato i rischi delle operazioni svolte dai propri clienti.Anzi, il loro mercato è in crescita, come dimostra il caso della multinazionale olandeseKPMGche fornisce servizi di valutazione di rischio ambientale a livello internazionale e che, secondo i giornalisti, ha evitato di documentare i danni provocati dalla deforestazione industriale operata dai propri clienti in aree protette. Nel 2021,KPMGha annunciato che avrebbe investito più di 1,5 miliardi di dollari per espandere i servizi di consulenza progettati per aiutare i clienti a ridurre i rischi associati alriscaldamento climatico. L’azienda ha anche offerto consulenza sulla sostenibilità alWorld Wide Fund for Nature, il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, ed è partner fondatrice di un’iniziativa guidata dalRebritannicoCarlo IIIche chiede alle aziende associate di impegnarsi nellaconservazione della biodiversità e azzerare le emissioni inquinanti nette entro il 2050. Nel frattempo, a intervenire su un sistema di autoregolamentazione confuso e sfuggente è la Commissione europea, che sta valutando come agire per contrastare leattività digreenwashingdelle aziende, ovvero quelle pratiche di marketing basate su dichiarazioni ambientali fuorvianti.