Fare impresa? Per i giovani è quasi impossibile

Dal punto di vista economico e lavorativoessere giovaniin questo periodo storiconel nostro Paese non è facile. Lo stipendio medio di un giovane è infatti di 876 euroe oltre l’85% di loro vive ancora a casa dei genitori. Inoltre, secondo ilsesto rapporto Censis-Eudaimon 2021-2022nel mercato del lavoro gli occupati di determinate fasce d’età si riducono sempre di più. Quelli tra i 15 e i 34 anni sono diminuiti del 7,6% e tra i 35- 49 anni si arriva a – 14,8%. Con l’avanzare dell’età la tendenza si inverte facendo registrare tra i 50 e i 64 anni una crescita pari quasi al 41%, mentre per gli over 65 si sfiora il 70%. Gli ultimi dati pubblicati daInfocamere-Unioncamereestendono questa turbolenza anche all’imprenditoria giovanileevidenziando un trend in discesa. Rispetto al periodo pre-pandemia nel 2022 si calcolano36.000aziendeunder 35 in meno, per un totale di 511.996, complice la chiusura di alcune realtà e l’invecchiamento dei titolari di altre. Nel dettaglio sono circa 20.000 le imprese perdute tra il 2019 e il 2020, mentre altre 12.000 sono scomparse nei due anni successivi. Unruolo determinantein questo scenario non può che essere riconosciuto allapandemia da Covid-19, che con i suoi lunghi mesi di lockdown ha messo in ginocchio numerose attività imprenditoriali. Tuttavia, questa non esaurisce le spiegazioni al problema. L’Italia, infatti, è unPaese demograficamente vecchio dove il ricambio generazionale non riesce a mettersi in moto adeguatamente. Questo è vero tanto per i lavoratori dipendenti quanto per il settore impresa. Nella prima categoria, infatti, sono proprioi giovani tra i 15 e i 34 anni a essere maggiormente soggetti a forme contrattuali non standard(tempo determinato, part time, collaborazione), ovvero circa il 39.3% rispetto a una media complessiva del 21,3%. Per quanto riguarda l’impresabisogna invece partire da una realtà: il tessuto imprenditoriale italiano è estremamente complesso. Già prima della pandemiala percentuale di Piccole e Medie Imprese (PMI) superava il 75% del totale, al quale vanno aggiunte le molteplici organizzazioni a conduzione familiare che sviluppano particolari dinamiche interne. A queste caratteristiche intrinseche del sistema italiano si affiancano variabili estremamente attuali: i costi crescenti dell’energia, delle materie prime di approvvigionamento e del denaro stesso che hanno ulteriormente allontanato la possibilità di fare impresa. La situazione però non è uguale in tutta Italiae mentre le città settentrionali di Bolzano, Trieste e Piacenza ottengono i risultati migliori,al centro e al sud i giovani mettono da parte i propri progetti imprenditoriali.I risultati peggiori si trovano nelle Marche dove negli ultimi dieci anni le aziende giovanili sono diminuite del 33%: a Macerata tra il 2019 e il 2022 le imprese under 35 sono calate del 19,6%, solo nel 2021 la discesa è stata di oltre 12 punti percentuali, a Isernia si segna un -15,8% e a Campobasso un -15,7%. Il problema dell’Italia meridionale è ormai ben conosciuto, anni e anni di politiche inadeguate hanno finito per lasciare indietrotante, troppe, persone che, spesso, trovano un’unica soluzione: migrare.Sono specialmente i più giovani a scegliere questa strada, riempiendo la valigia già dopo il diploma alla volta delle università del nord Italia e partendo, dopo la laurea, per l’estero in cerca di migliori opportunità. Non c’è da stupirsi se si pensa che, secondo l’analisi Censis-Eudaimon,quasi il 47% dei lavoratori italiani di tutte le età sogna di cambiare lavoro e tra questi più della metà sono under 35. L’Italia, secondoUnimpresa,investe in media 8.514 euro per ogni studente, una cifra che, pur essendo ben al di sotto della media europea, rischia di essere sprecata visto che sono tantissimi i ragazzi che frequentano l’università e ogni anno si laureano nel nostro Paese ma che successivamente non riescono a essere valorizzati e se ne vanno. Un costo, dunque, che si rischia di non ripagare ma che fa perdere una grande quantità di forza lavoro e, conseguentemente, di potenziale ricchezza. L’Istatcalcola chedal 2012 al 2021 abbiano lasciato l’Italia 337.000 ragazzi e ragazze tra i 25 e i 34 anni, di questi circa 120.000 erano in possesso di un diploma terziario. Quanti ne sono tornati? Circa 94.000, di cui 41.000 laureati. Facendo due calcoli si deduce, dunque, cheabbiamo perso oltre 240.000 giovani pronti a lavorare e di questi 79.000 erano in possesso di unalaurea. Tuttavia mentre il centro nord recupera una parte di queste perdite accogliendo numerosi studenti dal sud Italia (circa 116.000 al nord e 13.000 al centro) il sud rimane a debito di circa 150.000 lavoratori. Chi resta nella propria terra rischia di non avere opportunità di carriera.Secondo il report IstatDivari territoriali nel Pnrr,nel Mezzogiorno ci sarebbero 3 occupati in meno ogni 10 rispetto all’area settentrionale ed è sempre qui che si trova il maggior numero diNeet, ovvero di giovani che non lavorano e non studiano, quasi il doppio rispetto al resto d’Italia. Come si sta intervenendo? A oggi sono circa220 i miliardi destinati a sostenere l’occupazione delle regioni meridionali dei prossimi sei annitraPnrre finanziamenti europei (fondi strutturali 2021-2027, REactEu, Fondo di coesione e Just Transition Fund). Incentivi finanziari comeResto al Sudhanno segnato un importantepunto di incontro tra sud Italia e imprenditoria giovanilepermettendo la nascita di 7.366 imprese di cui il 68% guidate da under 35. Sempre a favore dei giovani imprenditori troviamo i bandi diInvitaliacomeOn – Oltre. Nuove impreseche da maggio 2021 ha finanziato a tasso zero circa 500 progetti per la maggior parte presentati da giovani donne. Ma possiamo veramente accontentarci di queste misure? I dati continuano a restituirci la fotografia di unPaese da cui i giovani scappano, scoraggiati all’idea di fare impresa per i troppi ostacoli che si presentano all’orizzonte. Il motore e il futuro della nostra economia, tuttavia, risiede nelle loro mani e dovremmo trovare il modo di valorizzarle.