Puoi sorridere per me? L’infanzia perduta dei bambini al MAXXI

Puoi sorridere per me? L’infanzia perduta dei bambini al MAXXI

 

Una bambina con un cappellino blurestituisce al visitatoreuno sguardo colmo di tristezza:sopra, la scrittaCan You Smile For Me? – L’infanzia sperduta,il titolo dell’esposizione promossa daUnicefgrazie al contributo diGiammarco Sicuro,fotoreporter di guerrache, attraversouna selezione di 83 scatti realizzati in oltre 10 anni di attivitànei vari Paesi in cui opera l’organizzazione –Ucraina, Afghanistan, Myanmar e India- racconta le storie di dolore e rinascita dibambinisparsi in tutto il mondo. In zone remote, flagellate dalla guerra e dalle epidemie. «L’idea è nata a ottobre 2022, durante la mia permanenza aSvistohorsk,un villaggio delDonbassche era stato appena liberato dall’occupazione russa» ha spiegato ilgiornalista Rainel corso dell’inaugurazione dellamostra, che resterà apertaalMAXXIdi Romafino al 5 marzo. «Ad un certo punto, notouna bambina di 8-9 anni al massimo,in filaassieme ad altre centinaia di personeper ricevere pane e latte. È difficile che un bambino alla vista di una macchina fotografica, anche in luoghi e situazioni difficili, non accenni un sorriso. Invece, la bimba in foto ha uno sguardo perso e vuoto, sembra aver perso la capacità di sorridere. Ecco, appunto la domanda che dà il titolo alla mostra:“Can You Smile For Me?». Credit: Giammarco Sicuro Credit: Giammarco Sicuro Credit: Giammarco Sicuro Credit: Giammarco Sicuro Credit: Giammarco Sicuro Credit: Giammarco Sicuro Credit: Giammarco Sicuro Accanto allefoto, diverseinstallazioni: radunati su un tavolino in un angolo,nastri di munizioni di artiglieria, tappi diproiettili, brandelli diuniformi, resti dimortairaccolti sulsuolo ucraino. E poi diversi oggetti,strumenti e medicinali utilizzati quotidianamente dall’Unicefperdare assistenza ai bambini:una confezione diAquatabs, con cui gli operatori sanitari rendono potabile l’acqua data da bere ai piccoli; ilMuac,un braccialetto che indica il livello di malnutrizione dei pazientineicentri pediatrici(il colore giallo segnala una malnutrizione acuta moderata, il rosso invece quando il bambino è in pericolo di vita) e ilmateriale scolastico e di cancelleriafornito alle classi. Una parte dell’esposizione è dedicata, in particolare, all’Ucrainae all’Afghanistan:il conflitto russo-ucrainosta avendo un impatto drammatico sulla vita e sul futuro di7,8 milioni di bambini: tra loro, 3,4 milioni hanno bisogno di assistenza umanitaria lì, sul posto, mentre 3,9 milioni hanno bisogno di aiuto nei Paesi dove sono stati accolti come rifugiati. Ma non possiamo dimenticare che anche l’Afghanistan sta vivendo una situazione dicrisi umanitaria senza precedenti: lì,15,3 milioni di bambini hanno bisogno di aiuto. Dopo il ritorno dei talebani al potere si è stretta la morsa del regime sulla vita delle donne:più di 1 milione di ragazze hanno perso l’opportunità di frequentare la scuola secondaria. Proprio in Afghanistan, Giammarco Sicuro si è ritrovato a visitare quello che ha descritto comeun girone dell’Inferno dantesco: laprigione di Sarposa. All’interno, erano detenute perlopiù personetossicodipendenti, omosessuali e donne adultere. E poi, molti bambini:bambini rastrellati per le strade, perché i talebani non vogliono minori non accompagnati in giro per la città. In tutti gli scatti che documentano le terribili condizioni della prigione,i più piccoli piangono disperati. «Provo a fare qualche domanda, ma vengo allontanato rapidamente – racconta il fotoreporter – Decido di denunciare quest’orrore all’Unicef, che interviene prontamente e convince ilGovernatore talebanoa liberare tutti i bambini gettati in prigione e di collocarli presso una struttura più adatta. Una storia tremenda, ma anche un esempio importante di comegiornalisti e organizzazioni attive sul territorio cooperando possono risolvere qualche cosa». All’inaugurazione è intervenuto anche Vittorio Di Trapani, neoeletto presidente dellaFnsi(Federazione nazionale della Stampa italiana): «Il giornalismo non deve limitarsi allafredda contabilità. Il modo migliore per evitare di mettere sul tavolola parola “pace”èdisumanizzare la guerra. La missione del giornalista invece è quella di raccontare i volti e gli occhi.Le fotografie rompono questo schema, danno voce alle vere vittime dei conflitti armati».