Inquinamento: un Pfas è per sempre

Probabilmente nel tuo armadio c’è almeno un capo che li contiene. Oppure in cucina, o ancora in bagno. Sono ovunque: nei tappeti, nel fili interdentali, nei vestiti impermeabili, nelle padelle, batterie di veicoli elettrici, vernici, in alcune creme per la pelle, negli involucri per le patatine, nelle protesi, persino nelle corde di chitarra.E sono finiti ovunque: nelleacquee nei terreni di tutta Europa. Sono iPfas,PerFluorinated Alkylated Substances- sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate,composti chimici che durano “per sempre”,praticamente indistruttibili. Nel mondo ne esistono quasi 10.000 e oggi, circa 80 anni dopo l’inizio del loro utilizzo, il conto che paghiamo è altissimo. Se in certe zone d’Italia (come in Veneto con il caso Miteni) la questione dell’inquinamento da Pfasè ben nota, ora la nuovainchiestadi diverse testate europee riunite nel progettoForever Pollutionmostra, attraverso mappe e dettagli, l’estrema e pericolosissima diffusione di queste sostanze in tutto il Vecchio Continente. Non è un caso cheBruxelles stia tentando di inasprire i divieti a partire dal 2026. Per comprendere l’impatto di questi prodotti bisogna tornare a fine anni ‘40 inizio anni ‘50, quando fu sviluppato l’uso dei Pfas per realizzare, in particolare,trattamenti antiaderenti, antimacchia o impermeabiliper rivestire una serie di utensili o tessuti quotidiani. Da allora, sempre più utilizzati in ambito industriale, questi composti oggi soprannominatiforever chemicalssono finitinelle acque reflue, nelsuoloe in natura, contribuendo a gravi danni per la salute delle persone e dell’ambiente. Nello specifico, 2 Pfas sembrano aver impattato maggiormente: ilPfoa(acido perfluoroottanoico) è stato collegato a cancro ai reni e testicoli, malattie della tiroide, colite ulcerosa, colesterolo alto e ipertensione indotta dalla gravidanza; ilPfos(perfluoroottansolfonato) è spesso associato a sterilità e malattie della riproduzione, dello sviluppo, del fegato, di reni e tiroide. Dopo mesi di inchieste, si è concluso il progetto di mappatura che mostra come queste sostanze sianopresenti in 17.000 siti in tutta Europae, probabilmente, in altri 21.000 luoghi, contaminati a differenti livelli. Le redazioni diTheGuardian,Watershed Investigations(Gran Bretagna),Le Monde(Francia),Ndr, Wdr, Süddeutsche Zeitung(Germania),Radar MagazineeLe Scienze(Italia),The Investigative DeskeNrc(Paesi Bassi),Journalismfund.eueInvestigative Journalism for Europe, hanno svolto insieme una indagine che mostra comela contaminazione in tutta Europa sia ormai inarrestabile.Nel frattempo, l’Agenzia europea per le sostanze chimicheEchaha pubblicato una proposta di divietodi tutti i Pfas. Per realizzare l’inchiesta sono stati raccolti oltre100 set di datied è stata realizzata una mappa unica che mostra la contaminazione, in cui spiccano zone delBelgio, Olanda, Regno Unito,Germaniae Italia,soprattutto ilVeneto, l’area Nord-Ovest e le regioni tirreniche. Inoltre, il progetto rivela che ci sono almeno20 impianti di produzione industriale e migliaia di siti in Europache possono essere consideratihotspot Pfas, luoghi in cui la contaminazione raggiunge livelli pericolosi per la salute delle persone. Una volta che iforever chemicalsentrano nelle acque e nei suoli, sbarazzarsene è difficilissimo: le operazioni dibonificapossono costare anchedecine di miliardi di euro.Ecco perché l’inchiesta chiede all’Europa di lavorare nella direzione di non produrre più questo tipo di sostanze, che non si degradano in ambiente. È stato inoltre stimato che ogni anno i Pfasgravano sui sistemi sanitari europei tra i 52 e gli 84 miliardi di euro. Allo stesso tempo, l’inchiesta rivela come sia in corso un ampioprocesso di lobbying e di pressioni per evitare l’imminente divietodell’Europa, dal momento che queste sostanze sono alla base di tantissimi processi industriali. Analizzando una lunga serie di documenti, i giornalisti dietro ilForever Pollution Projectevidenziano anche comealcuneaziendestiano cercando di esentare i loro prodotti dal divieto. «I livelli di concentrazioni sono preoccupanti- ha affermato il professor Crispin Halsall, chimico ambientale presso laLancaster University, commentando l’inchiesta – e c’è il rischio che il bestiame abbia accesso alle acque contaminate e che poi il tutto finisca nella catena alimentare umana». Ci sono dunque seri rischi per i cittadini «che accedono alla fauna selvatica come fonti di cibo come la pesca e gli uccelli selvatici». Inoltre, aggiunge il professor Ian Cousins, scienziato ambientale dellaStockholm University,i siti con valori superiori a 1.000 ng/kg dovrebbero essere «valutati urgentemente» in modo che possano essere bonificati. Come spiega Cousins, è bene infatti ricordare che l’inquinamento da Pfasè «simile all’inquinamento da plastica in quanto queste sostanze chimiche non sono degradabili,ma nel caso di Pfas è invisibile. Li rilasciamo continuamente, quindi i livelli nell’ambiente continueranno ad aumentare ed è solo una questione di tempo prima che i livelli di queste sostanze nell’ambiente o nei nostri corpi superino la soglia in cui ci sarà uneffetto sulla salute umana».