Adolescenti e pornografia: il lato oscuro delle piattaforme digitali

Ti ricordi il filmHer? La pellicola del 2013 di Spike Jonze raccontaval’amore tra un uomo e un software. In una Los Angeles futuribile, un introverso e nostalgico Joaquin Phoenix, per superare il divorzio con la moglie Catherine, trova rifugio e conforto nella compagnia di un OS, un sistema di intelligenza artificiale – interpretato da Scarlett Johansson – in grado di interagire vocalmente con lui al pari di un essere umano. Ora immagina di poter scaricare un’app su cui creare la tua anima gemella,un avatar di sesso maschile o femminile, dove poter scegliere qualsiasi sua caratteristica: dall’altezza al colore dei capelli, dal modo di vestire ai tratti del volto.Un avatar con cui chattare quando ti senti solo, annoiato o giù di morale. Pensa se uno strumento del genere, senza alcun controllo, finissenelle mani di un adolescente. Il risultato è una versione meno romantica e decisamente più pericolosa del lungometraggio di Spike Jonze, non molto distante, se vogliamo, dalcasoReplika,rimbalzato da una testata all’altra in queste settimane, dopo il provvedimento d’urgenza adottato il 2 febbraio scorso dal Garante per la protezione dei dati personali in Italia. Con l’esposto, l’Autorità chiedeva alla società statunitense che gestisce lachatbotReplikadicessare ogni trattamento di dati personali nel nostro Paese,almeno fino a quando non sarà in grado di adottare misure che siano idonee a impedire effettivamente di trattare dati di minorenni. «L’iniziativa controReplikaè partita dalla lettura di un articolo sul quotidiano onlineToday. La giornalista Chiara Tadini raccontava un esperimento fatto sull’app di intelligenza artificiale. Fingendosi minorenne, aveva iniziato a chattare el’AI aveva finito per istigarla a uccidere il padre» ha spiegato aLa SvoltaGuido Scorza, componente delGarante per la protezione dei dati personali. Scaricata daoltre 7 milioni di persone,Replikaèun’app di intelligenza artificialeper chi si sente solo. Ilclaimin apertura non lascia spazio a equivoci:”Il compagno che si preoccupa di te”e un pay off aggiunge, “Sempre qui per ascoltare e per parlare. Sempre dalla tua parte”. «Dopo aver letto quell’articolo, ho pensato di verificare io stesso con un esperimento simile lo sbarramento dell’età, manulla mi vietava, pur dichiarando di avere 12 anni, di scivolare in conversazioni molto ambiguecon il mio avatar e addirittura diaccedere a contenuti pornografici. Rispetto ad altre chatbot, poi, questa desta ancora più preoccupazione per l’uso dei dati:l’avatar e le sue sembianze umane contribuiscono a rendere la conversazione empatica, e spingono l’utente acondividere molto più di sé e della sua vitarispetto a un semplice social network». «La tendenza a servirsi degli avatar e a interagire con loro è interessante», commenta aLa SvoltaAlice Di Leva, educatrice e pedagogista esperta nella progettazione e nell’intervento educativo per la prima infanzia.Nella sua pagina InstagramNadì – Nati digitali,Di Leva fa divulgazione riguardo le difficoltà legate allenuove tecnologienei primi anni di vita delbambino«C’è una vasta letteratura scientifica secondo cui in età preadolescenziale, videogiocare anche con il corpo, attraverso un avatar, comporti numerosi benefici a livello di apprendimento. Abitare uno spazio senza il corpo, potersi costruire un avatar ha un significato importante, in un’età di sviluppo». La tecnologia incide necessariamente anche sulleprime esperienze sessuali dei ragazzi. «Le nuove modalità di approccio alla sfera sessuale, per esempio ilsexting, hanno una diffusione più che trasversale e vengonoampiamente praticate anche dagli adulti.Il problema per gli adolescenti e i bambini riguarda l’accesso incontrollato alla pornografia mainstream: la fruizione di contenuti hard da parte di un minore, la visione di certe dinamiche di dominazione dei corpi maschili su quelli femminili e di fisicità che non rispecchiano in alcun modo la realtà, possono incidere profondamente sulle aspettative e l’immaginazione di un adolescente senza alcuna esperienza pregressa, fino acausare dispercezione corporea e ansia da prestazione.È fondamentale, in questo senso, avviareprogrammi di educazione sessuale, affettiva e soprattutto al consensoin maniera analogica e traslare il discorso sul digitale». Ilrapporto pubblicato dalChildren’s Commissioner for Englandha rilevato che1 bambino su 10 ha già guardato contenuti pornografici prima dei 9 anni. Ad allarmare, però, è anche il fatto che gran parte del materiale visto dai ragazzi è caratterizzato dalla violenza. Il79% degli intervistati ha guardato video porno violentigià entro i 18 anni d’età, mentre 1 giovane su 3 ha volutamente cercato rappresentazioni di violenze sessuali. Il reportsottolinea gli effetti dannosi dell’esposizione allapornografia violenta.Quasiil 50%dei giovanitra i 16 e i 21anni che hanno preso parte al sondaggio credeva chele ragazze “si aspettassero” un approccio sessuale aggressivo o violento, come alcune pratiche di asfissia e soffocamento sessuale. «Si parla sempre di nativi digitali, mai nativi digitali in realtà non esistono- spiega Di Leva – Lo stesso inventore di questa espressione, Marc Prensky, si corresse dopo anni sostenendo che fosse meglio discutere di competenze digitali.I bambini oggi nascono immersi nei contestidigitali,ma non hanno necessariamente delle competenze al riguardo. Il patentino digitale non è automatico». «Oggi la tecnologia non è più un semplice strumento, è l’ambiente nel quale i ragazzi, ma non solo loro, vivono – conferma Scorza – La naturalezza con la quale ne fanno uso paradossalmente implica un’incoscienza maggiore,la convinzione errata di padroneggiare questo ecosistema digitale, del quale, a conti fatti, sanno pochissimo. L’usabilità di certe app ci fa credere di essere pratici, ma rimane un vasto cono d’ombra sui rischi che la tecnologia comporta». E aggiunge: «In primis, è necessario unmaggior controllo in ambito familiare: come ci si assicura che il proprio figlio minorenne non salga su un motorino, altrettanto si dovrebbe fare per social e piattaforme online». Il 63% dei minori di 13 anni mente sulla propria età al momento dell’iscrizione sui social network. «L’altro grande problema concerne la cosiddettaage verification. Fino a ora si è discusso di 2 differenti sistemi disbarramento dell’età. Uno si avvale del sistema dialgoritmi e big data: si rischia però di arrivare alla soluzione paradossale per cui per tutelare i dati personali dei minori, si autorizzano le app e i siti web a profilarli ancora di più. L’alternativa più convincente è quella della profilazione operata da una terza parte fidata. In questo modo, l’utente, prima di creare un profilo personale su un portale, dovrebbedare prova della sua età,per esempio esibendo un documento d’identità, a un fornitore di servizi di identità digitale o a un operatore di telecomunicazioni, il quale genererebbe una sorta di token, senza che il provider ne conosca lo scopo». LaFrancia è stata uno dei primi Paesi ad affrontare la questione nel 2020con una normativa che imponeva all’industria del porno di impedire l’accesso online ai minori. Un paio di settimane fa ilParlamento franceseha approvato in prima battuta – il disegno di legge è ora al vaglio del Senato – una nuova normativa che obbliga le piattaforme di social media, come Instagram e TikTok abloccare l’accesso ai minori di 15 anni, a meno che non abbiano l’autorizzazione dei genitori, penamulte fino all’1% del loro fatturato globale annuo. «La Francia è sicuramente più avanti di noi in questo processo – commenta Guido Scorza -Mettere paletti del genere però ha un peso notevole,se si pensa che qualche centinaio di milione di utenti sui social network sono bambini nel mondo. Escluderli dalle piattaforme ridurrebbe di molto il fatturato delle società».