Se è vero che i cambiamenti partono dal basso, l’iniziativa che ha impegnato i cittadini Ue a tracciare una strada comune per affrontare, e magari risolvere, il problema dellospreco alimentare, fa ben spensare. Per 3 week-end, dallo scorso dicembre fino a metà febbraio, 150 tra donne e uomini, giovani e meno giovani, hanno dialogato perproporre alla Commissione europea 23 raccomandazioni. Obiettivo: potenziare gli sforzi per ridurre ilfood waste, rafforzando la cooperazione nel settore e sostenendo il cambiamento nel comportamento dei consumatori. Spreco alimentare, un problema comune “Combattere lo spreco alimentare – fa sapere la Commissione –è una triplice vittoria: permette di risparmiare cibo per il consumo umano; aiuta agricoltori, aziende e consumatori a risparmiare denaro; e riduce l’impatto ambientale della produzione e del consumo di alimenti”. La Svoltaha assistito alla sessione finale dei lavori, che l’11 e 12 febbraio ha visto 150 cittadini presentare a Bruxelles la relazione del panel. Un’occasione per fornire buoni spunti che i singoli Stati membri, oggi al lavoro per raggiungere obiettivi di riduzione legalmente vincolanti a livello comunitario, potranno fare propri. Questa è la speranza. “L’Ue e i suoi Stati membri si impegnano a rispettare gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, che prevedono di dimezzare lo spreco alimentare globale pro capite a livello di vendita al dettaglio e di consumatore entro il 2030, nonché la riduzione delle perdite alimentari lungo la filiera alimentare”, si legge in una nota della Commissione. La riduzione degli sprechi, e in particolare di quelli alimentari, è oggetto di una proposta legislativa inserita nelprogramma di lavoro della Commissione per il 2023, in linea con la sua strategiaFarm to Forke le proposte dellaConferenza sul futuro dell’Europa. Secondo i dati di monitoraggio Ue, nel 2020 l’Europa ha generato57 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari– circa 127 kg/abitante –, per un valore di 130 miliardi di euro. Questo significa che il 10% di cibo messo a disposizione dei consumatori Ue (al dettaglio, servizi alimentari e famiglie) può andare perduto. Un problema che origina l’8-10% delle emissioni totali di gas serra, provenienti dal settore alimentare. Le 23 raccomandazioni Le raccomandazioni del gruppo di cittadini integreranno lavalutazione d’impattoela consultazione pubblicacondotta dalla Commissione sull’iniziativa europea per rivedere la direttiva quadro sui rifiuti con obiettivi vincolanti di riduzione degli sprechi alimentari. Le proposte avanzate lo scorso week-end spaziano dall’impegno di supermercati e negozianti ascegliere il produttore più vicino, per limitare trasporti e accelerare la consegna del cibo, scongiurandone il deterioramento, allapromozione di appche combattono lo spreco alimentare. Ma, ancora, l’attivazione di forum consultivi, il sostegno a uncambiamento nelle abitudini di consumo, comunicando ai consumatori il valore degli alimenti stagionali. Come? Grazie a una chiara segnalazione nei negozi. Un altro spunto riguarda la ristorazione: tutti i locali dovrebbero essere autorizzati a mostrare un logo – comune in tutta l’Ue –, che pubblicizzi la possibilità diportare a casa gli avanzi, specificando nel menù questa possibilità. E ancora, “raccomandiamo che le organizzazioni responsabili della gestione dei rifiuti siano obbligate apesare, scalare o misurare i rifiuti organici. A breve termine, il piano dovrebbe concentrarsi su istituzioni pubbliche (ad esempio, scuole e ospedali), interi quartieri o distretti e, a lungo termine, dovrebbe includere anche le famiglie. I rappresentanti di queste istituzioni/distretti, e in una fase successiva le famiglie, dovrebbero ricevere rapporti e confronti con periodi precedenti e confronti con altre entità. Questo porta a una maggiore consapevolezza ed è un incentivo per ridurre gli sprechi alimentari”, spiegano i cittadini Ue. Un altro suggerimento riguarda l’istruzione: “raccomandiamo l’inclusione dei temi dell’alimentazione sostenibile e della nutrizione neicurricula delle scuole primarie e secondarie, sia attraverso la creazione di un nuovo corso autonomo obbligatorio, come già esiste in alcuni paesi, e/o la sua inclusione in materie obbligatorie esistenti”.
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