Perché le donne che giocano a biliardo sono così poche?

Perché le donne che giocano a biliardo sono così poche?

 

A Roma, nascosto a sud di Villa Phamphilj c’è un locale, ilKoala 2.0,che a prima vista potrebbe sembrare solo un jazz club, invece è – soprattutto – unasala da biliardo,con luci dense su panni verdi e blu. C’è unuomoall’entrata, dietro una guardiola. E poco lontano unadonnache gioca. Cristina Moscettiha 50 anni ed è forse lagiocatrice di biliardo poolpiù forte d’Italia, con8 titoli italiani e 9 a livello europeo, tra cui quello di vincitrice nel 2021 delloEuropean Championship Ladies Palla 8, il che ne fa, a rigore, anche la migliore in Europa. Cammina con le braccia distanziate dal corpo, sicura come un leone, ma meno aggressiva di come appare nei tanti video delle sue partite.Ha iniziato a giocare daadolescente,quando marinava la scuola, e ha continuato, diventando una campionessa già negli anni ‘90. Manon ha sempre giocato a biliardo,in mezzo ci sono «7 anni di vita regolare», come li chiama lei. Lavorava alle poste. «Avevo cambiato vita. Il biliardo era stato importante, ma era come se volessi esplorare altre cose». «Solo la notte, ogni tanto, mi sognavo di giocare a biliardo». Quando è stata licenziata, non ha fatto ricorso, anche se avrebbe potuto: «Per quasi 10 anni vai in ufficio, timbri il cartellino, torni a casa, fai i piatti, quelle cose là, normali… Avevo 40 anni e a un certo punto da un giorno all’altromi sono ritrovata senza lavoro. Lì è statoil momento in cui la mia vita è cambiata». “Stai attenta” In Italia le donne che giocano a biliardo sono molto poche. Dall’inizio del 2023 la disciplina è entrata nel mondo delle Federazioni Sportive Nazionali: un riconoscimento che significa molto per i professionisti – e le professioniste – che ora hanno finalmente la possibilità di mantenersi grazie a questo sport. Ma su circa 27.000 tesserati, le donne non arrivano a 1.000, e nel pool – il biliardo americano, la specialità di Moscetti – sono poco più di 400, il 13% di chi pratica questa specialità. Riguardo la presenza femminile nello sport, secondo Moscetti, pesa molto il pregiudizio del biliardo come gioco per “sfaccendati” o addirittura “criminali” e dellasala da biliardo come bisca. «In realtà è un ambiente abbastanza pulito – spiega aLa Svolta -ma è un’attività aperta di notte elegata a un certo immaginario, costruito anche dai film e dalleserie tv. È ovvio che se vai in una sala da biliardo poi tua madre ti dice “Stai attenta”. Mia madre me lo diceva». Tuttavia, il biliardo è anche una delle pochissime discipline dovela differenza di genere non ha alcun peso:infattidonne e uominipossono gareggiare insiemenelle diverse categorie. Esistono anche circuiti separati, ma servono per avere una rappresentanza quando si partecipa agli europei. Non ci sono evidenti ostacoli all’ingresso legati al genere di appartenenza e questo elemento potrebbe essere cruciale in un momento storico in cui il mondo dello sport si confronta con l’emergere di nuove sensibilità, il cui obiettivo è superare la visione binaria e biologica di genere che rende molto problematica la collocazione per le persone trans e non binarie. «Nello sport è una questione spinosa, manel biliardo non c’è alcun vantaggio a essere uomo o donna», continua Moscetti, che è stata la prima e unica donna nominata team leader di una nazionale maschile, un’esperienza molto intensa e faticosa, di crescita. «È stata una cosa storica per il biliardo italiano che una donna portasse un’intera nazionale maschile. Poi quest’anno per la prima volta hanno partecipato iwheelchair, i giocatori in sedia a rotelle: anche quello mi ha ripagato molto». Qualcosa è cambiato L’eccezionalità di questa nomina si deve aMerry Fontes Da Silva, eletta nel gennaio del 2021 all’interno delconsiglio federale diFibis(Federazione Italiana Biliardo Sportivo), con la responsabilità di gestire la sezione pool/snookers. Dal 2018 il Coni ha stabilito infatti che i consigli federali di Federazioni Sportive Nazionali e di Discipline Sportive Associate devono prevedere al loro interno almeno un terzo di componenti di genere diverso. Nella Fibis, oltre a Merry Fontes Da Silva, che ha la carica più importante, sono state elette altre 2 donne: Elisa Cavalli e Stefania Ceccarelli. Merry Fontes Da Silva ha una voce decisa e disponibile, schietta, con un accento veneto riconoscibile ma poco marcato. Intervistata anche lei daLa Svolta,una delle prime parole che usa è «feroce»: lo fa per descrivere laresistenzaincontrata nel suo primo anno da consigliera federale, nonostante lavorasse nell’ambiente da 12 anni. Colpisce perché Cristina Moscetti, invece, aveva usato quasi subito la parola«sorellanza». Tra questi 2 poli, la «sorellanza» di cui parla l’atleta e la «ferocia» che denuncia la dirigente, non si misura la distanza tra 2 mondi, ma quella tra 2 narrazioni, il che aiuta a raggiungere una visione più sfaccettata dell’ambiente.Per Fontes Da Silva il maschilismo nel biliardo esiste, «però va anche detto che le donne faticano a integrarsi con la mentalità del biliardo». Per questo da qualche anno ci sono categorie miste, perché un circuito esclusivamente femminile – com’era fino a poco tempo fa – «si traduceva in un ghetto:pochissimeatletee poco disposte a spostarsi.Alla fine, c’erano sempre quelle 5 o 6 che giocano da 20 anni». Ora le donne possono giocare nei circuiti di categoria (regionale e nazionale) e nei circuiti femminili (femminile nazionale e femminile nazionale master, che raccoglie le giocatrici con maggiore anzianità di gioco). «Per essere un’atleta ci vogliono tecnica, concentrazione e preparazione atletica, ma anchesmettere di giocare in sottomissione»,afferma Fontes Da Silva senza giri di parole. Cristina Moscetti è una donna che ha preso il suo ruolo di atleta con serietà. Ne cita altre, su tutteBarbara Bolfelli, «la persona che ha portato il biliardo femminile in Italia»,scomparsa improvvisamente nel 2019, a 45 anni. «Lei ha giocato anche quando era incinta», precisa. Se le donne che giocano devono assumersi con più forza il loro ruolo, va anche detto che le donne che iniziano a giocare sono davvero poche.Resta un mondo maschile.Il problema nasce nei circoli, nel diverso approccio con gli adolescenti che frequentano le sale da biliardo. Lì, dove avviene il reclutamento, le ragazze non sono quasi mai coinvolte, mentre i maschi sì: vengono invitati a partecipare a tornei amatoriali e gli istruttori si propongono per le lezioni.Le donne invece sono trasparenti. Segnali di vita Poi c’èLaura Sasdelli,insegnantedi educazione fisica dell’IT Bacheletdi Ferrara. È appena andata in pensione, ma negli ultimi 12 anni avevainserito nel programma il biliardo pool.«L’ho scelto perché è una questione di testa, e la testa è fondamentale nello sport – spiega aLa Svoltaconvinta – Nel biliardo si attivano la testa, la postura, la concentrazione, il ragionamento». Inoltre, permette fare collegamenti con la fisica. Biliardo & Scuolaè un progetto diFibisrivolto alle scuole secondarie di secondo grado; ha lo scopo di «proporre una didattica che faccia ampio uso del gioco del biliardo e del “problem solving”» e che attraverso la disciplina riesca a «far conoscere il lato divertente, interessante e utile delle materie scientifiche, cioè quello applicativo». Per un mese tutta la classe prendevalezioni di biliardoda un istruttore federale, Stefano Fiumi, nell’ora di educazione fisica e contestualmente l’insegnante di fisica, nelle sue ore, affrontava in un paio di lezioni teoriche le traiettorie e gli effetti. «L’accademia apriva prima, alle 12:30, per noi», ricorda la professoressa Sasdelli. Quella che lei chiama accademia era un circolo. Una porticina si apriva e persone giovanissime, di 15 e 16 anni, all’improvviso riempivano un luogo che, in una cittadina come Ferrara, è frequentato per lo più da anziani. Ora non c’è più. Dopo un mese, i migliori venivano selezionati e si preparavano per i campionati nazionali delle scuole, con lezioni al pomeriggio. «In molti venivano dalla provincia, ma non saltavano mai una lezione», dice la professoressa. Una di questi èCamilla Govoni.Abita a Coccanile, frazione del comune Copparo, che non conta neanche 16.000 abitanti. Nel 2019, a inizio giugno, ha partecipato aicampionati nazionali delle scuole a Cervia. Su 14 istituti che partecipavano, di ragazze ne ricorda 4 o 5. Dopo ha continuato a giocare e a guardare video delle partite. Le piaceva perché era«qualcosa di fuori dall’ordinario, un mondo che gli altri non vedono». Quando passava da Ferrara andava a giocare da sola, perché per i suoi amici era una “roba da vecchi”. Camilla Govoni è l’unica a parlare “deigiovani” con malinconia e spirito critico, nonostante sia la più giovane tra le intervistate. Diversi suoi compagni davanti al progetto del biliardo a scuola non hanno reagito bene, perché «non sono curiosi, non vogliono buttarsi». A leiil biliardo ha insegnato a bilanciare la sua impulsività, a concentrarsi,«a stare ferma, a prevedere le mosse future, quelle degli altri; a fermarmi, a riflettere e poi ad agire». Ha smesso di giocare, perché, appunto, il circolo ha chiuso. The Pink Shot Nel 1993 Cristina Moscetti fondò a Roma, con le amiche e campionesse Tiziana Cacciamani e Laura Alviti,The Pink Shot,la prima sala da biliardo gestita da donne in Italia.«Era qui vicino, a Casetta Mattei». Aveva 22 anni e lo ricorda con gioia. «Siamo state delle pioniere. Eravamo 3 campionesse, molto diverse, Tiziana era più piccola, Laura forse aveva un paio d’anni in più di me. Attiravamo un sacco di persone. E avevamo una squadra femminile fortissima, con la quale abbiamo stravinto il campionato regionale». Dopo la fine del lavoro alle poste e prima di riuscire a mantenersi con il biliardo ha aiutato una sua amica che aveva un bar all’interno del giardino dellaCasa Internazionale delle Donne, un riferimento storico del femminismo romano. Spiega che è un luogo molto suggestivo ma, alla domanda se è femminista oppure no, oppone una certa resistenza. «Non nel senso troppo politico del termine, io non sono una persona centrata sulla politica, anzi… – sembra parlare tra sé e sé – Femminista?Diciamo che io metto in pratica». E qual è stata la difficoltà maggiore che ha incontrato in questo sport? «Mantenersi, perché non c’è il professionismo». Ma lei ci è riuscita diventando una campionessa, un’istruttrice federale e lavorando in questa sala, dove gestisce la parte sportiva insieme a Fabio Belfiore, un altro pluricampione italiano. «Però ecco, mi piacerebbe pensare di offrire l’immagine diunadonnaun po’ diversa rispetto agli schemi».