Il generational pay gap è reale

Il generational pay gap è reale

 

L’Italia è un Paese sempre più vecchio, lo dimostrano i dati: nel 2021 l’età media della popolazione è arrivata a 46 anni; il 30,5% ha superato i 60 anni e oltre4 milioni e mezzo sono over 80.L’attenzione alla salute e alle cura mediche hanno portato a un bellissimo traguardo: l’aumento delle aspettative di vita. Adesso, però, abbiamo un altro problema: igiovani nel mercato dellavoro. Nonostante ilreport diExcelsior -realizzato in collaborazione conUnioncamere- stimi per i prossimi mesi del2023l’assunzione di oltre 1 milione di giovani,oggi la percentuale di occupati è del 21%. Agennaio 2023 sono state aperte 503.670posizioni: di queste, circa 153.000 richiedevano preferibilmente under 29, mentre il 30% delle offerte era rivolto ai diplomati e il 20% ai laureati. La popolazione degli under 35 è destinata a portare sulle spalle il peso – e il costo – di una consistente classe di lavoratori prossimi alla pensione. Nel mentre, i giovani sono impegnati a combattere contro le crescenti difficoltà del mondo del lavoro, dovenegli ultimi 50 anni contratti e salari sono cambiati enormemente. Infatti,secondo i calcoli della società di consulenzaOdm consulting,in media un impiegato guadagna 33.514 euro annui.Rispetto a questa media si identifica un persistentegap generazionaleche corrode lo stipendio delle ultime generazioni. Coloro che sono natitra il 1946 e il 1964, i cosiddettiBaby Boomers, guadagnano il17,5% in più della media(quindi poco meno di 40.000 euro annui); laGenerazione X,ovvero i natitra il ’65 e l’80,il12,2% in più;iMillenials,natitra il 1981 e il 1996segnano un-1,6%mentre laGenerazione Z,1997-2012, il 23,1% in meno. Dunque, facendo due calcoli, la differenza tra un over 60 e un 26enne è di 34 punti percentuali. Per gli operai la differenza traBaby BoomerseGenerazione Xè, invece, di 14,7 punti percentuali e di 24,7 dallaGenerazione Z. Secondo l’Eurostatun giovane italiano guadagnerebbe in media 876 euro al mese e sarebbero circa 360.000 quelli a rischio povertà. Attualissimo è il dibattito sull’inserimento delsalario minimo, una misura che potrebbe portare diversi benefici e tutelare tutti i lavoratori, non solo i più giovani. Una manovra chemette d’accordo Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Terzo polo, ma che dovrebbe essere attentamente pensata soprattutto in virtù degli eventi dell’ultimo anno, dato che la guerra Russia-Ucraina e l’inflazione hanno profondamente modificato le nostre condizioni di vita. Si dichiaracontraria inveceGiorgia Meloni,fiduciosa del potere della contrattazione. Anche Maurizio Del Conte, docente alla Bocconi ed ex Presidente diAnpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro), ritiene che questo non sia il momento giusto per prendere una simile decisione. Indispensabile è considerare che i prezzi sono aumentati del 10% e che, anche se l’inflazione si riducesse, saremmo ancora di fronte a percentuali piuttosto elevate che vedrebbero l’erosione del salario minimo in pochi mesi senza gli adeguati aggiornamenti normativi. Tuttavia, un banco di prova per la gestione lo abbiamo già. Infatti,al di fuori dei confini nazionali la misura è stata ormai ampiamente testata: Lussemburgo, Belgio e Francia lo hanno legato a dei parametri sul costo della vita, negli Stati Uniti la decisione è presa in via parlamentare, in Spagna Portogallo, Grecia e Irlanda si ha una commissione bilaterale o trilaterale che rilascia, a seconda dei casi, un parere consultivo o vincolante. L’applicazione in Italia non è però così scontata:diversi sono i nodi tecnici da sciogliere,in riferimento in primis alvalore da applicare.La media nei PaesiOcse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico)è inferiore ai 7 euro all’ora, mentre le trattative e le discussioni nel Belpaese sembrano orientarsi sui 9 euro/ora, una cifra che, avverte l’Ocse, potrebbe risultare poco competitiva sul mercato rischiando un aumento della de-localizzazione fuori dallo Stato per risparmiare su un costo di manodopera troppo alto. A questo si aggiunge la necessità dicomprendere se e come inserire nel calcolo tutte le voci che compongono la retribuzione a partire dal Tfr -trattamento di fine rapporto -fino a tredicesima,quattordicesima e premi produzione. Diventa necessario inoltre trovare un equilibrio traminimum wagee contratti collettivi: questi raggiungono infatti anche gli 11,20% per il settore degli alimentaristi e degli edili, il 10,52% per i farmaceutici e 10,04% per i ceramisti. Proprio qualche giorno fa, sono state condivise sui social le parole amareggiate dell’ingegnera 28enne a cui è stato offerto un posto di lavoro per 750 euro al mese. Il video ha diviso in due il pubblico: messaggi di solidarietà da una parte, aspre critiche dall’altra. Ma al di là delle ore, del livello o della competenza, possiamo dichiararci tutti d’accordo che l’ingegnera fa luce su un problema reale e che dobbiamo affrontare. SecondoIstat,nel 2021 il 20% degli italiani aveva conseguito il titolo terziario, percentuale che sale al 26,8% nella fascia di età tra 30 e 34 anni. Negli ultimi 50 anni l’università ha spalancato le sue porte accogliendo un numero sempre crescente di giovani e, di conseguenza, è migliorato il livello di studio dei lavoratori:il 38% dei giovani tra i 25 e i 34 anni ha più titoli di studio della media deilavoratorinello stesso settore. Eppure lo studio non basta perché troppo spesso i giovani rimangono incastrati – e vengono sfruttati – all’interno di tipologie contrattuali incapaci di valorizzarli, come evidenzia Ivana Veronesi, segretaria confederaleUil: «Spesso i nostri giovani si formano moltissimo e quando escono dall’università gli viene offerto untirocinio a 300 euro, ma questo non è salario, non è retribuzione, è soloun’indennità di tirocinio. E se lo si fa a scuola serve a capire se il lavoro piace o non piace, mase si svolge dopo la formazione, i tirocini rischiano di essere solo sfruttamento lavorativo». Purtroppo però la logica molto spesso utilizzata dai datori di lavoro è quella di usarli come un ricambio: assumere un ragazzo o una ragazza giovane, far svolgere loro mansioni basilari – che non richiedono competenze specifiche o responsabilità alcune – e, alla scadenza, rimandarlo a casa cercando un altro tirocinante. Un circolo vizioso. Secondo l’Inapp(Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche)nel 2021 7 giovani su 10 avevano un contratto a tempo determinato,mentre l’11,3% era occupato a tempo parziale, anche se non per scelta personale. A confermare questi dati è ilGlobal Youth Development Index,che si basa su diversi parametri tra cui le opportunità e i livelli occupazionali, e che vede l’Italia 23° a livello internazionale e 16° su scala Europea. Non c’è da stupirsi, quindi, sequasi l’86% dei giovani tra i 15 e i 29 anni vive ancora a casa di mamma e papà.Possiamo continuare a definire gli italiani dei “mammoni” – o perché no “paponi” – perché, forse, è anche la verità. Allo stesso tempo, però, non possiamo negare l’evidenza: le nuove generazioni devono fare i conti con una realtà problematica, dovespesso lostudio, l’impegno e la dedizione non sono abbastanzae dove l’indipendenza e la stabilità economica diventano un miraggio. Ma il problema è di tutti perché per garantire il funzionamento della nostra economia e, più in generale, della nostra societàil ricambio generazionale deve necessariamente funzionare.