Parliamo di mestruazioni sostenibili

 

Tra tabù e sentimento di rivalsa, il tema dellemestruazioniè da sempre in grado di attirare attenzione e, allo stesso tempo, di respingerla. Tra chi lo reputa unfatto privato,da raccontare a bassa voce, e chi unaffare collettivo,di cui parlare anche al di fuori della propria intimità, il ciclo mestrualecrea contrapposizioni,apre una finestra sulle aspettative del mondo intorno e all’interno di chi ne parla. A prescindere dall’approccio scelto, è innegabile cheil modo in cui raccontiamo le mestruazionidebba tenere conto di una serie di implicazioni che si fanno strada nelle vite di tutti e tutte, anche di coloro a cui questo discorso non interessa. E, ancora una volta, è lacrisi climatica- temuta da alcuni quanto minimizzata da altri – a riordinare le priorità. Sebbene non siano presenti studi approfonditi che indaghino il loro effettivo impatto ambientale, basta una rapida riflessione per rendersi conto dell’inadeguatezza dei dispositivi di raccolta del sangue mestrualepiù comunemente utilizzati. Partiamo dalla loro composizione. Secondo l’associazioneFriends of the Earth,gli assorbenti igienici sono fatti al 90% di plastica, contenuta anche negli applicatori per i tamponi e nelle confezioni che li avvolgono, e in particolare da un mix di materiali tra cui rayon, fibre di legno e poliestere,difficilmente riciclabili e non degradabili. In Europa si stima che l’87% degli assorbenti e tamponi utilizzati finisca in discarica, contro l’80% degli Stati Uniti. Oltre ad accumularsi senza possibilità di recupero questi dispositivi spesso intasano le fognature (nel Regno Unito, ogni anno, circa 2 miliardi di dispositivi di raccolta del sangue mestruale vengono gettati nei wc) e rilasciano microplastiche e altri agenti chimici inquinanti per l’ambiente e dannose per la salute umana in spiagge e falde acquifere. Tenendo conto che nella propria vitaogni persona con mestruazioni utilizza tra i tremila e i quindicimila tamponi o assorbenti, a seconda della durata e intensità del singolo ciclo, il danno risulta anche quantitativo. Nell’ultimo secolo, soprattutto all’indomani della seconda guerra mondiale, i prodotti mestruali monouso hanno dominato la scena globale. Un boom riconducibile anche a fattori economici:i dispositivi usa e getta sono più facilmente reperibilie, talvolta, apparentemente meno costosi delle alterative green. Ora che però gli effetti del cambiamento climatico e delle nostre scelte sono diventati più evidenti, lealternative sostenibilihanno cominciato inevitabilmente a guadagnare terreno. Dallecoppette mestrualizero waste, da lavare e sterilizzare a ogni utilizzo ed estremamente durevoli, aiperiod pant o slip mestruali assorbenti, che insieme agli assorbenti lavabili sono diventati una soluzione molto diffusa e un investimento che sempre più persone decidono di fare. Oltre a gravare meno sull’ambiente, diversamente dai dispositivi usa e getta questo genere di prodotti conta su unagamma di materiali che garantisce durabilità e comfort. Inoltre, un dossier dell’Anses, autorità per la sicurezza sanitaria francese, in seguito a uno studio a campione ha rilevato chenegli assorbenti usa e getta sono generalmente presenti sostanze cancerogene e pericolose per la salute umana, che data la loro funzione entrano direttamente in contatto con la pelle. In quellilavabili e slip assorbenti, al contrario, la scelta dei materiali gioca un ruolo cruciale e si basa soprattutto sucotone biologico e tencel. Quando si parla di ciclo però,il concetto di sostenibilità non può limitarsi al fattore ambientale.In realtà in cui le mestruazioni restano un tabù, infatti, la scelta diprodotti monouso è quella che garantisce maggiorbenesserepsicologico. Discreti, facili da reperire e anche da nascondere, gli assorbenti usa e getta restano la soluzione più sicura. Per questo motivo alcune aziende hanno deciso di non demonizzarli ma di trasformarli, rendendoli innocui, inassorbentie tamponi sempre monouso ma in cotone organico e plastica biodegradabile e compostabile. La sfida, quindi, oltre che ambientaleè anche sociale. I fattori esterni, infatti, possono esercitare talvolta un peso decisivo, orientando le scelte dei singoli individui. La decisione di essere più o meno sostenibili è veicolata dai mezzi a disposizione, dallapossibilità d’accesso a determinate alternativee dallostigma socialeche avvolge le mestruazioni, che in molti Paesi le ragazze vivono segregate in casa, senza nemmeno andare a scuola. Per parlare di povertà mestruale, però, non è necessario fare molta strada, visto chesi stima che all’interno dell’Unione Europea una ragazza su dieci non possa permettersi prodotti sanitari. Una situazione allarmante, spesso ignorata da chi legifera e percepita con vergogna da chi vive quel disagio. Ladifficoltà nel chiedere aiutounita a misure che considerano il ciclo mestruale un lusso (basti pensare alla famigerataTampon Tax) creano una spirale scoraggiante, che alimenta ladisparità di generee mina il benessere mentale. Studi dimostrano, infatti, che la mancanza di mezzi legati alla gestione delle mestruazioni può generare malessere, stress psicologico e talvolta stati depressivi riconducibili anche agli stereotipi e tabù sul ciclo mestruale. La chiave di volta sta forse nell’adottare un cambio di prospettiva. Se è vero che nella lotta al cambiamento climatico le azioni di ogni persona saranno determinanti, è altrettanto pertinente considerare chenon tutti e tutte partono dalle stesse condizioni. Rendersi conto che esiste uno stigma legato al ciclo mestruale è il primo passo per ridimensionare la qualità del discorso pubblico, facendo divulgazione e scardinando gli stereotipi. Oggi i prodotti mestruali green e l’abbassamento dell’aliquota sui dispositivi monouso – in Italia con il governo Draghi è passata dal 22% al 10%, con il governo Meloni ha raggiunto il 5%- non sono più lusso ma necessità. Domani, magari, l’ambiente da salvare e preservare potrà finalmente diventare elemento di equità globale e giustizia sociale.

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