Cambia il codice degli appalti. E scompare la certificazione di genere

Cambia il codice degli appalti. E scompare la certificazione di genere

 

I precedenti Vale la pena, forse, ricordarlo ancora una volta:il nostro Paese è secondo solo alla Grecia per peggior tasso di occupazione femminile nel 2021, secondo i datiEurostat. Circa1 donna su 3 lascia il lavoro in concomitanza con la primamaternità.Siamo meno pagate degli uomini in tutti gli ambiti, perfino nel tanto acclamato settore delle Stem (anche qui, stando ai dati europei). Ecco perché l’introduzione dellacertificazione per la parità di genere, prevista dall’articolo 46-bis del D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198 (inserito dall’articolo 4, comma 1, della Legge 5 novembre 2021, n. 162) è stata salutata con grande gioia e soddisfazione dalle donne italiane, dalle attiviste, dalle giuriste e da tutte coloro che per anni avevano richiesto che il nostro Paese andasse in quella direzione. Di cosa stiamo parlando? Cos’è la certificazione per la parità di genere? L’articolo 46-bis prevedeva che, a decorreredal 1° gennaio 2022, fosse istituita unacertificazione che attestasse il livello di raggiungimento della parità di genere all’interno delle imprese, valutando concretamente le misure adottate per contrastare e ridurre le discriminazioni di genere. La normativa prevedeva che la valutazione si applicasse a uno spettro ampio di attività aziendali, dalla parità salariale alla parità di mansioni e alle opportunità di crescita professionale, dal salario accessorio all’equa rappresentanza delle donne nelle posizioni di vertice. Non da ultimo, la certificazione per la parità di genere è stataprevista anche nel Pnrr, nell’ambito della Missione 5 (Inclusione e Coesione) e le sono stati destinati10 milioni di euro. Per le imprese che avessero portato a termine il processo di certificazione, è stato previsto inoltre un duplice beneficio: da un lato,gli incentivi fiscali legati all’esonero dal versamento dei contributi previdenziali; dall’altro, unapremialità nella valutazione dei bandi pubblici,già introdotta anche per appalti sul Pnrr. E proprio il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevedeva che, entro il 2026, sarebbero state circa 800 le aziende italiane che avrebbero portato a compimento il processo di certificazione per la parità di genere. Perché ne scriviamo utilizzando il “passato”? Perché il Governo Meloni trasmette alle Camere iltesto delnuovo Codice degli appalti. E si tratta di un testo chenon contiene alcun riferimento alla certificazione per la parità di generecosì come prevista dall’art. 46 bis del Codice delle pari opportunità. E quindi, mentre ci si aspettava che il nuovo Codice degli appalti facesse esplicito riferimento alle misure volte a contrastare e ridurre le disuguaglianze di genere, avviene esattamente il contrario. È quanto scrive l’exMinistra Bonettiin unpost su Facebook, affermando che: “Nel nuovo testo si riconduce questa certificazione tra le tante presenti in un allegato temporaneo, senza riferimento alla legge che la istituisce.Si torna a parlare didonnecome soggetti svantaggiati. Avevamo detto che con questo governo le donne sarebbero state le prime a pagare, e con questa mossa le donne pagano di certo”. Le fa eco l’OnorevoleChiara Gribaudo, rilasciando un comunicato stampa in cui sostiene che “La certificazione di parità, che abbiamo costruito nella scorsa legislatura, è unostrumento fondamentale per colmare il divario di generenelle retribuzioni e nelle opportunità di lavoro. Un lavoro fatto bene avrebbe introdotto nel nuovo codice degli appalti un riferimento specifico per contribuire a ridurre i divari di genere, in linea con gli obiettivi del Pnrr”. Perché è importante? Perchéla parità di genere è uno degli obiettivi fissati nell’Agenda 2030per lo Sviluppo sostenibile, in quanto appartiene a pieno titolo a una prospettiva ampia di sostenibilità. La buona notizia è che quantomeno la sostenibilità non viene toccata dal nuovo codice degli appalti. E per fortuna, perché secondo un recente articolo diItalia Oggi, proprio i criteri di sostenibilità e di parità di genere renderebbero difficile la partecipazione alle gare per le imprese italiane. Ma non è tutto, perchél’assenza di discriminazioni di genere è anche uno dei parametri contenuti nei criteriEsg, in quanto indice di progresso ed equità. Ma non solo: è un fondamentalestrumento di crescita economica. E noi, ancora una volta, rischiamo di perdere di vista l’obiettivo.