Da Opzione Donna a Opzione Danno?

 

Uomini e donne guadagnano in modo diverso, si inseriscono diversamente all’interno del mondo lavorativo e ne escono, ancora una volta, con modalità e retribuzioni differenti.L’ultimo bollettinoInpsstima undivario medio degli assegni pensionistici tra uomini e donnedel 30%,ovvero rispettivamente di circa 1.381 euro e 976 euro al mese, considerando nel calcolo pensioni di vecchiaia, pensioni anticipate, di invalidità e superstiti. Ciononostante,le donne a essere andate in pensione l’anno passato sono più degli uomini:437.596 contro 342.195. Le cause di questo divario le ritroviamo nellarealtà lavorativa delle donne: difficile accesso, carriere discontinue, minori opportunità di avanzamento e salari più bassi pesano enormemente sulle pensioni.Troppo impegnate a tenere le redini delle famigliee a sobbarcarsi i lavori di cura gratuiti a esse connesse, le donne anche in pensione continuano a trascinarsi gli esiti delle scelte obbligate negli anni lavorativi. In questo contesto un ruolo importante lo avevaOpzione Donnaintrodotta nel 2004 dal secondo Governo Berlusconi con l’obiettivo di permettere l’accesso delle donne allepensionianticipate. I requisiti, rimasti validi fino al 2022, erano: aver compiuto i 58 anni di età e aver raggiunto i 35 anni di contributi. L’attualeGoverno Meloniha però stravolto la normativa,aumentando i requisiti necessari: innanzitutto l’età di accesso è innalzata a60 anni, ancora validi, ma non sufficienti, i35 di contribuiti. Diventaindispensabile per il 2023 aver avuto almeno un figlio,oltre alla presenza di una delle seguenti casistiche: avere una disabilità al 74%, essere una caregiver (ovvero avere un familiare da accudire da almeno 6 mesi), esser stata licenziata o essere una dipendente di un’azienda in crisi con tavolo aperto al ministero. Solo ed esclusivamente in questo caso l’età minima torna a 58 anni. Una grandissima stretta che porta a unasensibile riduzione della platea delle donne interessate. Nel 2021 le donne ad aver ottenuto la pensione anticipata tramiteOpzione Donnason state 20.681, nel 2022 sono aumentate del 15% arrivando a 23.812.Nel 2023 le lavoratrici interessate sarebbero 2.900, anche seCgilribatte che sarannoappena 870.Numeri che si prospettano comunque bassissimi lasciando fuori almeno 20.000 interessate. Il Governo Meloni ha stanziato perOpzione Donnasolamente 21 milioni di euro contro i 111 milioni di euro stanziati nel 2022 dal Governo Draghi. «Hanno fatto cassa conOpzione Donnasenza spiegarci perché», lamentaOrietta Armiliato, fondatrice del comitatoOpzione Donna Social,il quale conta 11.000 iscritte. La richiesta, urlata a gran voce anche nelle piazze italiane, è quella diripristinare la norma come era.A sostenerla anche Pd e M5s che hanno depositato degli emendamenti a favore. Tuttavia, la soluzione si prospetta tutt’altro che semplice:mancano i fondi e bisogna trovare delle coperture,come evidenzia il leghista Claudio Durigon, Sottosegretario al Ministero del Lavoro, che afferma «Il capitolo non è chiuso, ci stiamo lavorando con la ministra del Lavoro Marina Calderone.La volontà c’è ed è quella di ripristinare la norma com’era». Con queste premesse è quindi particolarmente atteso il prossimo incontro tra Governo e Sindacati fissato per mercoledì 8 febbraio. La norma è infatti fondamentale, continua Armiliato, perché «Il nostro sistema previdenziale non ha misure a favore delledonne. Era l’unica, anche se penalizzante». E penalizzante è dire poco, in quanto garantisce sì la pensione anticipata, ma prevede anche un taglio retributivo del 20%. E infatti nel 2022 la metà degli assegni era di circa 500 euro al mese e comunque l’89% era inferiore ai 1.000 euro. Una condizione tutt’altro che idilliaca, che evidenzia quanto sia necessarioripensare il sistema includendo le donne all’interno. Al tempo stesso, però, èindiscutibile l’importanza della manovra: donne che desiderano la pensione anticipata perché hanno genitori, mariti o figli malati da accudire o ancora donne con disabilità ma che non hanno avuto figli e nonostante l’età e gli anni contributivi si vedono negato l’accesso. Nell’ambito del lavoro dipendente le donne hanno un assegno medio di 1.029 euro al mese quasi il 37% in meno rispetto agli uomini che guadagnano 1.633 euro.Nelle pensioni di vecchiaia, gli uomini guadagnano in media 1.140 euro al mese, le donne 754. Negli assegni parasubordinati il divario è del 54% con 409 euro al mese per gli uomini e 189 euro per le donne.Nella gestione Artigiani il rapporto è 1.108 euro contro 723 euro; tra i commercianti 1.160 euro contro i 772 di assegno pensionistico femminile. Il problema è, tuttavia, a monte, come evidenzia il segretarioCislLuigi Sbarra. Le donne accedono alle pensioni prevalentemente con il sistema di vecchiaia e il divario è, come dimostrano i dati, troppo ampio. Diventa dunque necessario agire su più fronti:rafforzare le politiche del mercato del lavoroche sostengono l’occupazione femminile,sviluppare i servizi alle famiglieper garantire una maggior conciliazione tra vita privata e lavorativa, ma soprattutto un maggiorequilibrio dei carichi di cura in famiglia. Al tempo stesso, continua Sbarra, bisogna agire sul sistema previdenziale dato che le donne sono state trascurate e penalizzante dalle norme pensionistiche degli ultimi 30 anni. Indubbia è la necessità di riformare il nostro sistema politico, culturale ed economico su più livelli al fine di garantire una reale integrazione femminile. Al tempo stessoindubbio è il ruolo diOpzione Donnanel sistema pensionistico italiano, l’unica vera disposizione che era pensata per le donne e che, a oggi, non lo è più.